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Giuseppe, amico di Dio, anti-protagonista per eccellenza
Il Papa a partire dall’8 dicembre 2020 ha voluto indire un anno tutto speciale sotto il patrocinio di San Giuseppe. L’occasione è data dalla ricorrenza dei 150 anni dalla proclamazione del Santo quale patrono della Chiesa universale.
Diciamo subito che la figura di San Giuseppe per molto tempo è stata trascurata anche dalla Chiesa, se si pensa che non vi sono tracce di culto specifico se non a partire dal IX secolo ed in occidente nell’XI secolo, con la dedicazione di alcune chiese.
La gradualità con cui si è affermata questa importantissima figura di Santo forse è legata alla scarsezza di notizie su di lui e al fatto che i vangeli non riportano alcuna sua parola, direttamente o indirettamente pronunciata. Solo verso la fine del XIV secolo si diffonde la festa di San Giuseppe con un giorno a lui dedicato: il 19 marzo che, in seguito, diventa festa di precetto nel 1621 con la decisione di papa Gregorio XV.
Nel 1870, quasi per voler riparare a questo ritardo di attenzioni, Papa Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa [1] e più tardi gli riconobbe un culto superiore a quello degli altri santi. San Giovanni Paolo II gli dedicò un’enciclica la Redemptoris custos in quanto sposo di Maria e padre del Figlio Gesù e da ultimo, Papa Francesco, inserì ufficialmente la menzione del suo nome nel canone della Messa a partire dal 1 maggio del 2013.
Giuseppe amico di Dio
Giuseppe è il Santo del silenzio, dell’arrendevolezza alla volontà di Dio; il padre amorevole che comprende ed usa tanta misericordia nel rapporto con Maria, specialmente quando apprende che quel misterioso Figlio non è suo. E’ colui che assicura la provenienza da stirpe davidica a Gesù come è riportato nel vangelo di Matteo; è il custode del Redentore che amabilmente si pone al fianco di Maria anche quando c’era da correre e scampare al pericolo delle persecuzioni di Erode.
Anche lui ha provato sulla sua pelle la paura di essere ricercato a causa del Figlio e come tanti fratelli e sorelle del nostro tempo è dovuto scappare dalla violenza che andava dilagandosi nella sua terra.
A dispetto dell’iconografia classica che lo raffigura sempre in età senile, con il bastone in mano, Giuseppe si è mostrato agile e pronto a partire. Per il bene della famiglia si è fatto migrante e profugo, costretto ad andare in Egitto per sfuggire alla spada di Erode che aveva ordinato la strage dei piccoli di Israele.
Giuseppe lavoratore
Dai vangeli sappiamo che svolgeva la professione di carpentiere. In Matteo è scritto, in riferimento a Gesù: «Non è egli forse il figlio del carpentiere?». (Mt 13,55). Gli studi più recenti sono più propensi a presentarci un Giuseppe costruttore piuttosto che falegname.
Un’ipotesi che tra l’altro può trovare un riscontro anche nei diversi discorsi e riferimenti a situazioni di vita che Gesù potrebbe aver appreso proprio stando vicino al padre putativo. Un esempio lo avremmo dai suoi continui riferimenti a dinamiche tipiche del lavoro edile: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia», oppure: «di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno comincino a beffarsi di lui, dicendo: “Quest'uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto terminare”» (Lc.14, 28-30).
Gli scavi archeologici hanno confermato l’esistenza di una antica città che sorgeva proprio a 6 km da Nazareth. Il lavoro di carpentiere-costruttore Giuseppe potrebbe averlo svolto proprio a Sefforis ora chiamata Zippori che, a quel tempo, era in pieno sviluppo e fino al 20 d.C. era stata capitale della Galilea successivamente sostituita da Tiberiade (edificata in onore di Tiberio).
L’impianto tipico romano: cardo massimo e decumani, con annesse botteghe e costruzioni sul margine delle strade e con i vari luoghi di interesse pubblico rinvenuti dagli scavi, ci danno un’idea dell’immane lavoro richiesto per edificare e manutentare quella città. Sicuramente vi era bisogno di carpentieri, operai, costruttori specializzati. Del resto Nazareth era un piccolissimo villaggio e il lavoro doveva risultare troppo limitato, non si esclude, quindi, che Giuseppe possa essere andato a lavorare in quella città insieme a Gesù [2].
E’ risaputo che in quella decapoli coesistevano serenamente diversi interessi culturali e religiosi. La presenza dei bellissimi mosaici e luoghi di preghiera ebraica e pagana ed in seguito anche cristiana ne sono la prova evidente.
Giuseppe anti-protagonista
Giuseppe, nonostante le sue capacità particolari e tecniche ha preferito rimanere nel nascondimento; potremmo dire che lui è il contrario del protagonista dei nostri tempi, è l’ “anti-protagonista”, aveva capito che lui doveva diminuire e Gesù doveva crescere. E’ colui che non emerge ma ha un ruolo irrinunciabile e fondamentale. Dio ha scelto lui forse perchè persona pragmatica ed allo stesso tempo pia e timorata di Dio. L’evangelista Matteo, a riguardo, ci dice che era un uomo “giusto”.
Pur non essendo il padre biologico di Gesù egli esercitò il ruolo di padre in maniera piena e completa. E’ stato un vero padre al servizio della vita e della crescita di Gesù. Nei fatti ha dato prova di grande dedizione e fedeltà soprattutto nei momenti difficili. Per la causa di Cristo si esposto a persecuzione, esilio e povertà.
«Padre amato, padre nella tenerezza, nell’obbedienza e nell’accoglienza; padre dal coraggio creativo, lavoratore, sempre nell’ombra»: con queste bellissime e toccanti parole Papa Francesco nella lettera apostolica Patris corde descrive, in modo tenero e toccante, San Giuseppe.
Sullo sfondo della Lettera apostolica, non manca la pandemia da Covid-19 che, scrive Francesco: «ci ha fatto comprendere l’importanza delle persone comuni, quelle che, lontane dalla ribalta, esercitano ogni giorno pazienza ed infondono speranza, seminando corresponsabilità». Proprio come San Giuseppe, «l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta». Eppure, il suo è «un protagonismo senza pari nella storia della salvezza».
Giuseppe padre amorevole
In riferimento alla paternità, Papa Francesco afferma: «Padri non si nasce, lo si diventa, ci si prende cura di un figlio assumendosi la responsabilità della sua vita. Bisogna constatare che oggi, troppo «spesso i figli sembrano orfani di padri». Manca una paternità in grado di «introdurre il figlio all’esperienza della vita», senza trattenerlo o «possederlo», bensì rendendolo «capace di scelte, di libertà, di partenze». In questo senso, Giuseppe ha l’appellativo di «castissimo» che è l’esatto «contrario del possesso»: egli, infatti, «ha saputo amare in maniera straordinariamente libera», «ha saputo decentrarsi» per mettere al centro della sua vita non se stesso, bensì Gesù e Maria.
La sua felicità scaturisce proprio nel darsi, «nel dono di sé»: mai triste o frustrato egli è sempre fiducioso e resta sempre in silenzio, senza lamentarsi. Preferisce i fatti piuttosto che le parole e si impegna a compiere «gesti concreti di fiducia». La sua più grande ricompensa risiede nell’aver avuto l’onore di essere stato il custode di Cristo .
In un mondo che «ha bisogno di padri e rifiuta i padroni» la figura del Santo custode è quanto mai esemplare, evidenzia il Papa.
E’ il necessario modello per chi confonde «autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione». Il vero padre, non è colui che sostituisce al figlio nei suoi processi di crescita ma colui che «rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli» e ne rispetta la libertà, perché la paternità vissuta in pienezza rende il padre stesso in un certo senso «inutile», nel momento in cui «il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita». Essere padri «non è mai un esercizio di possesso», sottolinea Francesco, ma «un segno che rinvia alla paternità più alta», al nostro «Padre Celeste»[3].
don Alfonso GIORGIO
[1] Papa Pio IX, Decreto Quemadmodum Deus, 8 dicembre 1870.
[2] Cf. C. P. Thiede, Jesus. La fede, i fatti, Edizioni Messaggero Padova, 2009.
[3] Papa Francesco, Lettera apostolica Patris corde, 8 dicembre 202, n.7.
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