Chiacchierata con Maurizio Block, Procuratore Generale Militare

Pubblicato: 15/02/2021
Chiacchierata con Maurizio Block, Procuratore Generale Militare

Riprendiamo la nostra piacevole chiacchierata con il dott. Maurizio Block, Procuratore Generale Militare presso la Suprema Corte di Cassazione che ringraziamo per l’ospitalità e la disponibilità riservata al giornale La Linfa.

Eccellenza, come si concilia la portata contenutistica delle norme di cui al codice penale militare, risalente al 1941, istituito con Regio Decreto n. 303 del 20 febbraio ed attualmente ancora in vigore, con la contingente realtà criminosa?

Non si concilia; il codice penale militare di pace risale al periodo fascista di cui si avverte ancora oggi l’influenza in quanto non contempla fatti di reato che si potrebbero perpetrare anche a seguito, tanto nelle Forza Armate quanto nelle Forze di Polizia, dell’ingresso del personale femminile. Altrettante ipotesi di reato quali la violenza sessuale nelle caserme, la detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti, la contraffazione delle carte di credito, non sono contemplate nel codice penale militare tanto da essere sanzionati come reati comuni e, quindi, sottoposti alla giurisdizione penale ordinaria piuttosto che a quella penale militare speciale. Urge una riforma del diritto penale militare lacunoso su molteplici aspetti rispetto alla giurisprudenza ordinaria: penso al diritto di accesso agli atti. Insomma una riforma del diritto sostanziale.

E’ al vaglio una proposta di legge di riforma?

Una proposta di legge è all’esame della Camera dei Deputati nelle Commissioni riunite di Difesa e Giustizia con lo specifico scopo di novellare l’ormai vetusto ed anacronistico codice penale militare di pace introducendo tutte quelle ipotesi criminose che potrebbero accadere in campo militare, nelle caserme così come negli scenari internazionali oggi di competenza ancora della magistratura ordinaria. Un allargamento ed una specificità della giurisdizione colmerebbe eventuali carenze normative, eviterebbe la duplicazione dei procedimenti penali con conseguenti lungaggini processuali, la frammentarietà delle fattispecie di reati militari, problemi di competenza di attribuzione, il doppio processo con interferenze tra reati militari e comuni.

In tal senso, già nel 1956 fu emanata una legge che decretò la scomparsa dei ‘reati militarizzati’, limitando la competenza della giurisdizione militare esclusivamente a reati espressamente menzionati nella legge penale militare e dunque non a tutti i crimini che possono verificarsi in caserma.

Questo comporta che, nelle aule dei giudici militari si parli paradossalmente, di casi di peculato o malversazione; ex adverso la detenzione, la cessione di droga all’interno del comprensorio militare, la corruzione, le molestie e gli abusi sessuali perpetrati in caserma a danno di un militare diventano di competenza di un magistrato ordinario.

Nella strage di Pedescala del 1945 per cui è stato escusso dalla Commissione Parlamentare sulla qualità della vita nelle caserme, si parla di crimini di guerra e di atti di nonnismo: oggi se ne commettono ancora o la vita militare è cambiata?

La vita di caserma, specie nella fase della formazione, comporta, inevitabilmente una restrizione della libertà personale dell’allievo, costretto a convivere con altri commilitoni in spazi piuttosto ridotti. Essere sottoposti a regimi di addestramento formale alquanto rigidi, sottostare ad un potere gerarchico di valore, ad una sorta di prevaricazione sulla propria personalità, può ingenerare una tale forma di sofferenza che il militare sfoga nei confronti della recluta attraverso atti di violenza, di lesioni personali, di percosse.

Gli atti di nonnismo, anche piuttosto seri, cominciarono a diradare verso la fine degli anni ’90 a seguito di un’opera di sensibilizzazione nelle Forze Armate e dell’abolizione del servizio militare di leva con la legge n. 226 del 23 agosto 2004 a cui ha fatto seguito l’ingresso dei professionisti – militari di carriera.

Non bisogna però dimenticare l’inadeguatezza della normativa penale di cui già si è parlato che prevede norme punitive non per tutti gli atti di nonnismo ma solo per alcuni e tra questi i più gravi. Per meglio comprendere ci riferiamo ai reati penali militari di cui agli articoli 222 e 223 del c.p.m.p. ossia percosse e lesioni personali subite dai militari durante la vita in caserma la cui applicabilità, sebbene demandata alla discrezionalità del Comandante di Corpo non contemplano pene significative tali da fungere da deterrente contro eventuali atti di nonnismo.

Sarebbe dunque opportuno che quella riforma normativa di cui si tanto parla individuasse una figura di reato ex novo in cui il concetto generale di violenza ricomprenda anche i maltrattamenti – ex art. 43 c.p.m.p. che il militare con maggiore anzianità di servizio pone in essere verso il militare inferiore in grado e/o pari grado ma con minore anzianità. 

Negli anni si è assistito ad un’evoluzione del mondo militare. L’arruolamento del “gentil sesso” ha di molto ingentilito gli ambienti militari - anche se per alcuni aspetti conservano ancora quel maschilismo di base -, la presenza massiva di Forze di Polizia e Forze dell’Ordine in manifestazioni della vita pubblica quali cerimonie, celebrazioni sportive, interventi per l’ordine e la sicurezza pubblica, presenza sociale sul territorio, hanno registrato una maggiore apertura verso il mondo civile. La trasformazione del “modus pensandi” militare non ha trovato eco nella modernizzazione degli strumenti penali, purtroppo.

Nel diritto militare si distinguono le sanzioni di Stato e le sanzioni di Corpo: quale la differenza, chi le commina e le possibili conseguenze sulla carriera del militare?

Le infrazioni disciplinari ai sensi del 1° comma dell’art. 57 del R.D.M. sono “punibili con una delle sanzioni disciplinari di corpo, salva l’applicabilità di una sanzione disciplinare prevista dalla legge di Stato, ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti militari, o conseguenti all’emanazione di un ordine”.

In assenza di un corpo normativo omogeneo la disciplina militare di stato rimanda a tutte le leggi di stato giuridico relative alle differenti categorie di militari: ufficiali, sottufficiali, appuntati e finanzieri, appuntati e carabinieri, volontari di truppa.

Tanto le sanzioni disciplinari di Stato quanto quelle di Corpo hanno riflesso sulla carriera del militare con la differenza che le prime possono comportare la perdita temporanea (è il caso della sospensione disciplinare dal servizio) o definitiva (rimozione del grado) dello status di militare, le seconde invece attengono esclusivamente all’ordinamento militare attraverso la limitazione delle facoltà o delle posizioni giuridiche del militare.

Le sanzioni disciplinari di Stato ai sensi dell’art. 1357 del codice ordinamento militare sono la sospensione disciplinare dall'impiego per un periodo da uno a dodici mesi, la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per un periodo da uno a dodici mesi, la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare, la perdita del grado per rimozione.

Il procedimento disciplinare di stato si instaura attraverso la c.d. “inchiesta formale”. Si tratta di un’attività di accertamento volta ad esaminare l’insieme di atti da cui far emergere l’esistenza di elementi oggettivi e soggettivi a suffragio di una pretesa infrazione disciplinare punibile con sanzione disciplinare di Stato.

Le sanzioni disciplinari di Corpo regolamentate dall’art. 14 della Legge n. 382/78, consistono nel richiamo verbale (art. 62 R.D.M.) - ammonimento che può essere inflitto da qualsiasi superiore -, nel rimprovero scritto (art. 63 R.D.M.) - comunicato per iscritto al militare viene trascritto sugli atti matricolari dello stesso -, nella consegna semplice (art. 64 R.D.M.) – il provvedimento è comunicato per iscritto al militare, trascritto sugli atti matricolari ed è esecutivo dal giorno della comunicazione verbale all’interessato punito - che vede la “privazione della libera uscita fino al massimo di sette giorni consecutivi” (art. 1358 codice ordinamento militare) e nella consegna di rigore (art. 65 R.D.M.) – inflitta dal Comandante di Corpo viene immediatamente comunicata verbalmente al militare, è esecutiva dal giorno delle comunicazione verbale, notificata con comunicazione scritta al militare e trascritta sugli atti matricolari del medesimo - che “comporta il vincolo di rimanere, fino al massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell'ambiente militare -  in  caserma o a bordo di navi - o nel proprio alloggio, secondo le modalità' stabilite dagli articoli successivi e non può' essere inflitta se non per i comportamenti specificamente previsti dall'articolo 751 del regolamento” (art. 1358 codice ordinamento militare).

Il successivo art. 15 ne disciplina il procedimento disciplinare che statuisce che alcuna sanzione disciplinare di corpo possa essere inflitta previa contestazione degli addebiti al militare e previa audizione e vaglio delle motivazioni giustificative addotte dall’interessato.

I militari sono sempre più frequentemente impegnati in operazioni estere di peacekeeping e peace enforcement nonché in scenari di guerra: come si applica il diritto militare?

Più che di operazioni di pace e di operazioni di guerra, si dovrebbe parlare, come già si fa dal 2016 grazie alla legge n. 145 rubricata “legge quadro sulle missioni internazionali” e novellata nel 2017 dall’art. 6 del decreto legge n. 148, di operazioni internazionali all’estero.

Il codice penale militare di guerra è speciale rispetto al codice penale militare di pace ed al codice penale ordinario. In passato il codice penale militare di guerra ha trovato applicazione anche in assenza di un conflitto armato. Infatti l’art. 9 del c.p.m.g., nella sua stesura iniziale, recitava “sono soggetti alla legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace, i corpi di spedizione all’estero per operazioni militari, dal momento in cui si inizia il passaggio dei confini dello Stato….”. A seguito della modifica intervenuta con la legge 31 gennaio 2002 n. 6 è stata espressamente prevista l’applicabilità del codice penale militare di pace in sostituzione di quello di guerra. 

Pertanto la dicotomia tra codice penale militare di pace e codice penale militare di guerra non avrebbe più motivo di esistere. Come già detto, dal 2016 negli scenari internazionali si applica il codice penale di pace.

Qualora i militari impiegati in operazioni all’estero si imbattessero in scenari bellicosi o in crimini di guerra, non troverà quindi, automaticamente, applicazione il codice penale militare di guerra ma il tutto sarà rimesso al vaglio della magistratura che esaminerà i fatti anche alla luce delle convenzioni internazionali vigenti e si esprimerà sull’applicazione o meno del codice penale militare di guerra.

Dr.ssa Mariagrazia MAZZARACO



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