L'aborto e la svolta negli Stati Uniti
L’ennesimo esempio di disinformazione globale è arrivata per la recente sentenza della Corte Suprema americana sull’aborto. Con maggioranza di 6 a 3 (quindi andando ben oltre i giudici messi da Trump che ne ha nominati solo 3) la Corte non è entrata nel merito dell’aborto, ma si è limitata a dire che è materia di competenza statale e non federale perché dell’aborto - ad oggi - non si parla nella Costituzione americana e che quindi il Mississippi aveva diritto di mettere un limite ad abortire entro le 15 settimane (in Italia, tra l’altro, è di 12).
I media hanno parlato di oscurantismo, La Stampa addirittura di ritorno al Medioevo dando la colpa ovviamente a Trump. Se Biden (con Obama, la Clinton e la Pelosi) sono così convinti dell’aborto free, perché non varano una legge federale facendola votare al Congresso? Hanno la maggioranza…
Ma in realtà anche molti democratici vorrebbero mettere comunque dei limiti all’aborto che resta per tutti sempre una scelta difficile e spesso drammatica. Quindi la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America che dichiarato incostituzionale l’aborto, emanata nella Festa del Sacro Cuore di Gesù, apre provvidenzialmente una nuova epoca nella quale tutti i sostenitori della vita dovranno combattere più di prima: come hanno detto i vescovi degli Stati Uniti, non è la fine di qualcosa ma è un inizio.
Pertanto, la sentenza con cui il 24 giugno la Corte Suprema americana ha annullato la sentenza Roe v. Wade del 1973, che stabiliva un diritto costituzionale all’aborto, ha una portata storica, che trascende i confini degli Stati Uniti. Il preteso diritto all’aborto è una bandiera ideologica del progressismo, come dimostrano non solo le violente manifestazioni di protesta inscenate in molti Stati americani, ma anche l’ira dei leader della sinistra internazionale, come il segretario del Partito Democratico italiano Enrico Letta, il quale ha affermato, che la decisione della Corte americana “è figlia di una svolta ideologica. (…) Un ritorno indietro che genera sconforto, alimenterà sofferenze e farà divampare conflitti”.
Come se la legalizzazione dell’aborto, negli Stati Uniti e nel mondo, non fosse figlia di una perversa svolta ideologica e non avesse generato traumi, alimentato sofferenze e non avesse costituito una ferita sociale mai rimarginata, fino a produrre la salutare reazione che ha ribaltato la situazione americana.
Lo slogan di Enrico Letta “ritorno indietro” è quello che è rimbalzato da un capo all’altro del mondo progressista. Per cinquant’anni, l’America è stata presentata come la patria dei diritti civili e i paesi che non si allineavano alla sua legislazione venivano fustigati per la loro arretratezza culturale e morale. Ora gli Stati Uniti, battistrada della storia, sono accusati di aver fatto un “passo” o “salto indietro”. L’ammissione della possibilità di “tornare indietro” segna la fine di una concezione della storia intesa come un perfezionamento necessario e infinito. Il che significa che la storia non è unidirezionale, ma può essere percorsa a due corsie e occorre un ordine oggettivo di valori di riferimento per stabilire quale di esse sia quella moralmente percorribile.
La sentenza della Corte suprema americana frantuma il mito della irreversibilità di un processo storico che comprende l’aborto, l’eutanasia, la legalizzazione della famiglia omosessuale e del gender. Su ognuna di queste conquiste della Rivoluzione anticristiana, la storia potrebbe fare presto voltare pagina, come accadde nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino. La Corte suprema nega che l’aborto sia un diritto costituzionale a livello federale e ne trasferisce la competenza ai singoli Stati dell’Unione, ma bisogna fare attenzione a non trasporre dal piano giuridico a quello morale l’affermazione del dispositivo secondo cui la valutazione dell’aborto “spetta al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”.
Trasferire agli Stati un potere sovrano nell’ordine morale significa fare della volontà della maggioranza la fonte suprema della morale. “Ma se l’uomo può decidere da solo, senza Dio, ciò che è buono e ciò che è cattivo – osservava San Giovanni Paolo II – egli può anche disporre che un gruppo di uomini debba essere annientato”.
È esattamente quanto accade con l’aborto. Perciò, ribadisce con chiarezza San Giovanni Paolo, citando San Tommaso, “la legge stabilita dall’uomo, dai parlamenti, e da ogni altra istanza legislativa umana può essere in contraddizione con la legge di natura cioè, in definitiva, con l’eterna legge di Dio”.
La volontà degli Stati non è dunque l’ultima istanza morale, come non lo è il “tribunale della storia”. Spesso, davanti ad alcune tendenze perverse dei nostri sistemi politici, così sistematicamente presenti ad ogni latitudine, rimaniamo sconfortati e pensiamo che le dinamiche di morte siano irreversibili perché tanti e troppi interessi materiali e ideologici le alimentano. Spesso parliamo di un “sistema” contro la vita, espressione di una “cultura della morte”, come scriveva San Giovanni Paolo II, una cultura della morte che sembra corrodere ogni aspetto di bontà e bellezza e fare il vuoto attorno a sé.
Questa sentenza dimostra che questa presunta irreversibilità non esiste. È vero che la storia non può tornare indietro e che quanto è accaduto rimane come accaduto. È così anche per i milioni di bambini a cui è stata strozzata la vita nel grembo delle loro mamme. Però è possibile rileggere il passato e impostare il futuro su basi diverse, di bene anziché di male. È difficile, certo, richiede lotta, impegno e sacrificio, ma non è impossibile. La secolarizzazione, sia religiosa che morale, ossia la corrosione del senso della vita, non è irreversibile, essa dipende dalla volontà umana e dalla Provvidenza divina.
Dipende, più precisamente, dalla libertà umana docile alla Provvidenza divina. La sentenza della Corte Suprema, però, non dice la parola fine anche perché da questo momento gli Stati americani non sono più obbligati ad ammettere l’aborto, ma la decisione viene ricondotta agli Stati stessi.
Insomma, la sentenza non vieta l’aborto in tutti gli Stati americani. In questo senso non è corretto dire che “rovescia” la Roe v. Wide, la sentenza che nel 1973 aveva imposto l’aborto a tutti gli Stati americani. Quindi di lavoro da fare ne rimane ancora molto negli Stati Uniti d’America.
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