Le regole dell’intelligence in Italia: sicurezza come libertà
“Oggi - ha esordito Marco Valentini al Master in Intelligence organizzato dall’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri - verifichiamo con soddisfazione gli esiti di una virtuosa contaminazione, in termini di cultura dell’intelligence, tra Università e Istituzioni, che negli anni più recenti è cresciuta e si è consolidata anche dal punto di vista qualitativo. Si tratta di un processo decisivo per superare risalenti distanze e separazioni, che guarda dunque al futuro, a una piena integrazione della funzione intelligence nell’alveo degli interessi fondamentali della Comunità, ma che consente anche di leggere la storia del Paese con sguardo competente e documentato.
“I processi culturali - ha precisato il Prefetto - vanno ovviamente sempre contestualizzati. Bisogna coniugare, nell’esaminare le vicende del passato, onestà intellettuale e rigore della ricerca, con lo scopo di non formulare giudizi a posteriori affrettati su fatti storici. Anche i sistemi regolatori, di conseguenza - ha proseguito Valentini - vanno compresi con riferimento al periodo storico come testimonianza della cultura istituzionale che esprimono e della funzione concreta che erano e sono chiamati ad assolvere”.
Il tema della sicurezza nazionale non è estraneo alla Costituzione ed il fondamentale ruolo svolto dalla giurisprudenza della Corte, a partire dal 1977, ha ormai consolidato un sistema di regole, di principi e di valori che – ad avviso del Consigliere Valentini - oltre ad aver ispirato il legislatore della riforma, rappresentano un riferimento prezioso che pone in grado l’interprete di collocare la funzione e le sue finalità istituzionali all’interno del discorso costituzionale ed in particolare della dialettica doveri-diritti.
Il relatore ha dunque ripercorso, in questa ottica, quelli che ha definito i tre principali cicli storici di regolazione: il primo, che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1977; il secondo, dal 1977 al 2007; infine, quello che va dal 2007 a oggi.
Il primo ciclo è caratterizzato dal dominio assoluto di chi governa, dallo Stato-apparato. La funzione intelligence e i relativi comparti organizzativi sono inseriti nell’ambito militare delle Forze Armate e operano quali attori del complicato contesto della guerra fredda. La regolamentazione delle attività di intelligence non avviene attraverso il ricorso a fonti primarie, ma solamente a mezzo di normativa amministrativa, escludendo così il Parlamento e l’Autorità Giudiziaria da una piena cognizione delle attività e della loro disciplina giuridica, anche in termini di limiti e di responsabilità.
Insieme ai servizi militari, che pure, nel contesto della guerra fredda, operano con sguardo fortemente rivolto anche al contesto politico interno, si sviluppa un servizio civile “ufficioso”: l’Ufficio Affari Riservati in seno al Ministero dell’interno, anch’esso non disciplinato da una legge. Nel 1977 venne emanata la prima legge, che constava di 19 articoli e regolamentava i Servizi per la prima volta in maniera organica, seppure con una metodologia snella e succinta.
Il clima in cui matura la prima legge italiana sull’intelligence è sì quello della Guerra fredda, ma anche del terrorismo politico interno e internazionale e del compromesso storico tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano. Venne così accantonata l’idea di un mondo che si autodisciplinava in una zona d’ombra dell’ordinamento giuridico, il Parlamento è il dominus della regolazione, non più l’amministrazione. Nella legge del 1977 vi era un’architettura efficace in grado di intuire e intercettare tutte le questioni chiave di una regolazione appropriata: due braccia operative, l’alta responsabilità affidata al Presidente del Consiglio dei Ministri, sebbene dal Ministro dell’Interno dipendesse il Sisde e quello da quello della Difesa il Sismi.
Agli operatori non venne opportunamente conferita la qualifica di agenti o ufficiali di polizia giudiziaria. Venne per la prima volta istituito il controllo parlamentare e si tentò una definizione formale del segreto di Stato, per il quale tuttavia non furono previste limitazioni temporali. La legge rispecchiò, nella sua attuazione, alcune contraddizioni del sistema Paese – si pensi allo scandalo dei fondi riservati sottratti al Sisde per un valore di oltre 100 miliardi di lire da funzionari infedeli collocati ai massimi livelli della gerarchia interna, ma anche alla difficoltà di far pienamente funzionare il modello del coordinamento - ma i fattori positivi in termini di progresso della cultura dell’intelligence furono preponderanti. “Una delle prove di tale assunto - ha sottolineato Valentini - è che in trent’anni la legge è stata emendata una sola volta, nel 1991, per assegnare ai servizi compiti informativi nei confronti della criminalità organizzata”.
Il terzo ciclo inizia nel 2007, con la riforma, ormai vigente da oltre dieci anni, che scioglie alcuni nodi che comunque nel tempo si erano inevitabilmente evidenziati. Si è messo in campo un nuovo Sistema, intervenendo sui punti più critici. “La figura - ha ricordato il Consigliere - di Luciano Violante, che è stato relatore della legge, è stata particolarmente importante per condurre in porto il progetto con ampio consenso parlamentare. La legge - ha proseguito Valentini - ha reso più penetranti i controlli del COPASIR; ha previsto l’introduzione in norma primaria della disciplina della documentazione classificata; ha delineato in modo nuovo i rapporti con l’Autorità giudiziaria e con il processo e fornito una migliore definizione del segreto di Stato. Sono state anche previste le garanzie funzionali per gli operatori, introducendo per le operazioni autorizzate una speciale causa di giustificazione. Si è realizzata, in altre parole, nel 2007, la seconda riforma dell’intelligence. Il Sistema ha evidenziato il Prefetto - ha dato buona prova di funzionamento ed è anche stato sostenuto dalla crescente diffusione della cultura della sicurezza e dell’intelligence all’interno del nostro Paese”. Occorre ovviamente considerare che la funzione intelligence, così intrinsecamente connessa alla contemporaneità a dunque alla complessità della realtà interna e internazionale, è per sua natura dinamica, e dunque l’attenzione alla regolazione deve essere considerata sempre rilevante, pur senza cadere nell’errore dell’iper-normazione da cui conseguirebbe inevitabilmente una burocratizzazione delle procedure e delle prassi.
Successivamente Valentini ha esaminato il rapporto tra sicurezza e libertà, precisando come questo vada affrontato con un approccio qualificato che tenga conto del lungo cammino del discorso, filosofico, politico, giuridico, che nelle democrazie costituzionali oggi si presenta in modo nuovo, anche per le contraddizioni aperte dagli episodi di terrorismo catastrofico che hanno segnato i primi venti anni del nuovo secolo. Alla luce della Costituzione il diritto fondamentale alla sicurezza può essere visto in una prospettiva innovativa e il dibattito che si va articolando tra chi, come Carlo Mosca, lo ha collocato sul versante dei diritti di libertà, ed altri, che coltivano soluzioni diverse, testimonia come la dialettica tra questi due beni giuridici può sottrarsi alla risalente reciproca antinomia, definendone l’appartenenza allo Stato comunità quale prospettiva non solo di una collocazione sistematica ma anche per fare maggiore sicurezza.
“Bisogna avere consapevolezza - ha concluso Valentini - che la regolazione non è mai solamente architettura formale, e che per operare in modo coerente ed efficace deve essere specchio delle convinzioni del regolatore circa i contenuti sostanziali che essa tende a rispecchiare e ad affermare. I modelli non sono mai di per sé dirimenti. Occorre utilizzare questa opportunità storica per far crescere una cultura diffusa e condivisa su questi temi, che sono coessenziali all’esercizio della funzione nel perimetro dei valori e dei principi di una avanzata democrazia costituzionale, com’è quella del nostro Paese".
Dr. Andrea SORRENTINO
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