Le scienze delle decisioni sono il risultato dell’intelligence

Pubblicato: 15/07/2023

 Pierpaolo Battigalli, Direttore del Dipartimento di Scienze delle Decisioni all’Università “Bocconi” di Milano, ha tenuto una lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri

Le scienze delle decisioni sono il risultato dell’intelligence

Battigalli ha affrontato il tema “Intelligence e scienze delle decisioni”, sottolineando lo stretto legame tra l’intelligence e la qualità delle decisioni che vengono assunte dai decision makers, che prima orientano l’attività d’intelligence e poi ne utilizzano il prodotto.

Ha quindi spiegato la teoria dei giochi, che analizza formalmente l’interazione tra diversi decision makers ed è quindi fondamentale per la teoria economica. Poichè l’informazione tipicamente dipende da scelte passate, la teoria dei giochi, basata sulla teoria delle decisioni, può essere usata per le analisi d’intelligence e può essere considerata come un punto d'incontro tra le varie discipline.

Muovendo da queste premesse, il docente ha affrontato il concetto dei limiti all’intelligenza delle decisioni, in quanto solitamente, pur avendo la disponibilità di dati di lungo periodo, tali dati risultano insufficienti per assumere buone decisioni e per raggiungere obiettivi. Nello specifico, ha illustrato le teorie economiche dell’equilibrio tra informazione e decisione, spiegando il punto di vista degli economisti e sociologi Friedrich von Hayek e Frank Hahn, nell’ambito delle due principali teorie economiche, la macroeconomia (grandi aggregati, strutture economiche di stati o di gruppi di stati) e la microeconomia (singoli agenti economici o sistemi Sicurezza con un numero limitato di operatori). “Le teorie - ha ricordato - vengono espresse in termini matematici e si usa la matematica per interpretare la realtà, come diceva Pitagora che riteneva che la realtà potesse essere racchiusa nei numeri”. 

Battigalli è quindi giunto a delineare la teoria dei giochi, in cui “ciascuno degli attori cerca di raggiungere degli obiettivi nell’ambito di determinate regole”, sottolineando la relazione non casuale con l’intelligence. Il professore, insieme a tre altri studiosi italiani della università “Bocconi” (Cerreia-Vioglio, Maccheroni e Marinacci), ha analizzato la teoria dei giochi nella prospettiva di chi è avverso all’incertezza, sviluppando in una direzione nuova il concetto dell’“equilibrio autoconfermante” che esso stesso aveva precedentemente introdotto nella teoria dei giochi ispirandosi ad alcune intuizioni di Hayek e Hahn. Tale equilibrio rappresenta stati stazionari di processi di revisione delle credenze e delle scelte in situazioni interattive (giochi) ricorrenti: nel limite di lungo periodo ogni agente fa scelte ritenute ottime date le sue credenze soggettive, e tali credenze non cambiano perchè sono coerenti con i dati accumulati. Ma poichè tali dati possono risultare insufficienti per identificare gli aspetti della realtà esterna che determinano quali decisioni sarebbero oggettivamente ottimali, rimane un margine d’incertezza e le credenze possono essere errate. L’incertezza residua, cioè l’imperfettaconoscenza dei rischi associati ad ogni scelta, rende rilevante l’avversione degli agenti a fare scelte di cui non capiscono bene i rischi, detta avversione all’incertezza, o ambiguità. Per ogni agente, la scelta fatta in equilibrio è associata a rischi noti, perchè è ripetuta nel tempo e consente di osservare con che frequenza si verificano esiti positivi e negativi. I rischi associati alle altre scelte invece non sono misurabili con precisione. Se gli agenti sono avversi all’incertezza, allora è più facile che restino intrappolati in scelte oggettivamente subottimali. Insomma, “chi lascia la via vecchia per la via nuova sa quel che lascia e non sa quel che trova”, ma non è detto che la via vecchia sia quella migliore! Per questo motivo più alta è l’avversione all’incertezza, più grande è l’insieme dei possibili equilibri, e quindi risulta più imprevedibile (per lo studioso dei fenomeni economici o sociali) il comportamento di lungo periodo degli agenti.

Questi concetti sono stati illustrati con vari esempi. Nel rapporto delle decisioni assunte tra governo e mercato, il governo (o banca centrale) può determinare un’inflazione alta o bassa e il mercato risponde con comportamenti che determinano il livello di disoccupazione. Il governo può ritenere, com’era tipico delle teorie macroeconomiche degli anni Sessanta e Settanta, che esista una relazione inversa di lungo periodo tra i due mali dell’inflazione e della disoccupazione. Supponiamo che, scegliendo quello che considera il minore dei due mali, il governo può determinare un’inflazione alta. Se in realtà (come postulato da teorie più moderne) il tasso disoccupazione di  lungo periodo è “naturale” e indipendente dall’inflazione, mantenendo un’inflazione alta il governo non ha modo di verificarlo, perchè manca la controprova. Una situazione analoga può verificarsi con le politiche redistributive. Il governo, in particolare, può operare con una bassa o alta redistribuzione dei redditi, utilizzando la leva della tassazione. Nel mercato si investe se si hanno alti utili economici, non si investe invece quando la redistribuzione è alta, poiché il rendimento potrebbe essere ridotto dalle tasse. Se il governo non valuta correttamente la relazione inversa tra redistribuzione e investimenti, può scegliere una redistribuzione eccessiva, non essendo in grado di misurare quanto sarebbero più alti gli investimenti con una redistribuzione inferiore.

Battigalli ha ulteriormente illustrato la relazione tra equilibrio e avversione all’incertezza con un esempio numerico di gioco a due giocatori con somma di guadagni costante: il Matching Pennies with Increasing Stakes (Pari o Dispari con posta crescente) in cui il primo può decidere preliminarmente se giocare con posta alta, o bassa, oppure può pagare una piccolo importo per non scommettere. In tale situazione si dimostra che nell’unico equilibrio autoconfermante con un agente indifferente all’incertezza nel ruolo del primo giocatore, questi sceglie la posta alta. Se l’avversione all’incertezza è moderata, ci sono anche equilibri autoconfermanti in cui il primo giocatore sceglie la posta bassa, e se è alta anche scegliere di uscire è un esito di equilibrio. 

Battigalli ha poi messo in relazione l’equilibrio autoconfermante con l’equilibrio della teoria “ortodossa”, cioè il concetto proposto da John Nash, premio Nobel nel 1994, divenuto celebre con il film del 2001 “Beautiful mind”. L’equilibrio di Nash presume che i giocatori abbiano credenze corrette gli uni sugli altri, e quindi ogni giocatore in equilibrio fa la scelta migliore per se date le scelte di equilibrio altrui. Poichè credenze corrette sono necessariamente coerenti con l’evidenza, ogni equilibrio di Nash è autoconfermante. Ma, come precedentemente spiegato, ci possono essere equilibri autoconfermenti che non sono equilibri di Nash. In alcuni casi i due concetti risultano essere equivalenti. Ciò si verifica se il feedback informativo che ogni giocatore ottiene sul comportmento altrui (o del caso) è indipendente dalla strategia adottata. In tal caso infatti la scelta di status quo permette di misurare i rischi connessi a ogni scelta possibile. 

Infine il professore nella seconda parte della lezione si è concentrato sulle scelte di un singolo policy maker, che sceglie tenendo conto delle possibili reazioni degli altri agenti, confrontandosi con una serie di probabilità oggettive non note, ovvero in condizioni di incertezza. Tale contesto illustra bene i limiti all'intelligence nel guidare la policy. Focalizzandosi sulle scelte di politica monetaria, Battigalli ha mostrato come si possano verificare situazioni in cui l’economia è ben descritta da un modello neoclassico in cui la disoccupazione è (nel lungo periodo) indipendente dall’inflazione, eppure si sceglie una policy di alta inflazione ritenendo che un’inflazione più bassa possa far crescere la disoccupazione. Ma in linea di principio potrebbe essere valida la situazione opposta, in cui l’economia è ben descritta da un modello Keynsiano, e invece il policy maker ritiene erroneamente che la disoccupazione sia poco influenzata dall’inflazione, induce erroneamente una disoccupazione troppo alta. Si può mostrare che tali equilibri di lungo periodo “non ortodossi” sono il risultato di un processo di scelta e aggiornamento delle credenze descrivibile secondo i principi “ortodossi” della statistica Bayesiana e della massimizzazione dell’utilità attesa soggettiva.

Dott. Carlo CONTE



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