Mafia Capitale, la verità raccontata da un protagonista

Pubblicato: 15/03/2021
Mafia Capitale, la verità raccontata da un protagonista

Nel processo d’appello bis celebrato il 9 marzo scorso, condanne ridotte per gli uomini del “Mondo di Mezzo”.

Ridotta a 4 anni e 3 mesi la condanna impartita a Claudio Caldarelli che ha deciso di partecipare la sua verità attraverso le pagine de La Linfa.

Condannato in appello a 9 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di associazione mafiosa, scontati già 3 anni presso la casa circondariale di Tolmezzo prima e di Rebibbia poi, a Claudio Caldarelli rimangono 12 mesi che probabilmente sconterà nell’esercizio di attività volontaristica per espiare definitivamente la propria pena e tornare ad essere, finalmente, un UOMO LIBERO.

Imputato minore, presunto sodale di quell’associazione di stampo mafioso con a capo Salvatore Buzzi e l’ex Nar Massimo Carminati, Claudio Caldarelli ha vissuto da estraneo la vicenda di “Mafia Capitale”.

Lunga esperienza nel mondo delle cooperative, più precisamente nel settore del commerciale, Caldarelli ha presieduto la cooperativa “Formula Sociale”, parte del consorzio “Eriches 29”.

“E’ stato Salvatore Buzzi ad offrirmi l’incarico di presidente della cooperativa “Formula Sociale” operante nel settore dell’ecologia, del verde, ambientale. Il mio compito era gestire, per un verso la gestione del commerciale, per l’altro curare le relazioni istituzionali.

12 anni della mia vita li ho dedicati alla politica, all’Amministrazione Pubblica, nel ruolo di assessore presso i Comuni di Fiumicino, Cerveteri, Ardea, Anguillara per la gestione del servizio rifiuti urbani, il I° Municipio con particolare attenzione al Bioparco di Roma, il 19° Municipio di Roma (Balduina); proprio in quest’ultimo, in qualità di assessore ai servizi sociali, gestivo, come già detto, gare d’appalto per importi fino a 6 milioni di euro. Tra i partecipanti vi era la “Abc”, una cooperativa che faceva capo a Buzzi ma che non si è mai aggiudicata alcuna gara.

Le cooperative che gestivo erano impegnate nel sociale, nel recupero dei detenuti attraverso l’attività di inclusione e di reintegro nella società. La cooperativa “Florovivaistica del Lazio” di cui ero vice presidente, nel 1992 concede una fidejussione bancaria per l’importo totale di 100 milioni di lire per l‘avvio della cooperativa “29 giugno”, al centro del maxi processo “Mafia Capitale”.

In quella circostanza conosco Salvatore Buzzi. La “29 giugno” era una cooperativa poliedrica nel senso che si occupava di assistenza ai migranti, di verde sociale, di realizzazione di parte del campo nomadi, si ricordi quello di Castel Romano i cui lavori furono affidati ad Agostino Gaglianone, uomo di Massimo Carminati, (la gestione era sempre della “Eriches 29” capeggiata da Buzzi), delle commesse dei pasti e del servizio mensa del Misna realizzati da Giuseppe Ietto, altro uomo di Carminati che, non solo gli affida la distribuzione dei pasti per il centro immigrati di Anguillara ma convince il Salvatore ad assumerlo in cooperativa, per una mera questione di carattere sociale, previo uno sconto di 50 centesimi. In tutte queste operazioni Carminati si presenta come imprenditore, socio occulto della “29 giugno”.

Se da una parte la data di scadenza della fidejussione si avvicinava, dall’altra la cooperativa “29 giugno”  cresceva per importanza e per affari sviluppandosi capillarmente sull’intero territorio romano tanto che il Buzzi decide di affidarmi diversi lavori, consulenze corrispondendomi uno stipendio mensile negli anni 2010-2011 pari ad euro 1800, nell’anno successivo di 3200 euro assumendo la presidenza della cooperativa “Formula Sociale” .

Con le gare d’appalto indette dall’Ente Eur, cosidetta del verde, l’amministratore delegato dell’Ente, dott. Mancini, presenta Massimo Carminati a Salvatore Buzzi.

Quando vengo a sapere che Carminati entra in affari con la “29 giugno” in qualità di socio nel 2013, come lo stesso Salvatore mi riferì, (con cui aveva in comune l’appalto del verde dell’Ente Eur) che, voglio rammentare ai lettori essere una cooperativa rossa, rimango basito. E lo sono ancora di più quando apprendo,  per mano di Carlo Guarany, di un articolo pubblicato su l’Espresso in cui si parla dei quattro “Re di Roma” e di Carminati quale “Re di Roma” per eccellenza.

La sua fama lo precedeva, i suoi trascorsi negli ambienti della malavita capitolina non presagivano nulla di buono. E avevo ragione: Carminati lusinga con contatti, relazioni, conoscenze rivelatisi inesistenti il Buzzi che invece si fida ciecamente di lui.

Ed è stata proprio questa eccessiva fiducia in un personaggio inattendibile che ha messo nei guai la “29 giugno” con lo sgretolamento, ad opera della magistratura, dell’intero quartier generale, distruggendo l’esistenza di noi lavoratori del sociale.

Nel mio primo libro intitolato “Mafia capitale, la verità raccontata da un protagonista” a cui farà seguito “La chiamavano Mafia Capitale”, voglio urlare alla libertà, poiché in Italia ogni reato è mafia. Questa mia storia vuole raccontare come anche gli inquirenti possono sbagliare.

In molti casi però, quando si sbaglia, si rovinano le famiglie, carriere, si spezzano vite umane come ramoscelli. Si vive un incubo con la consapevolezza che non puoi fare nulla; le certezze che hai acquistato nella vita, non esistono più, sei in un altro mondo a te sconosciuto, in quel mondo che hai sempre ripudiato nella vita.

In questo mio libro, racconto verità vissute, miei pensieri e atti processuali, spiego come gli inquirenti possano aver male interpretato le nostre parole, mai tramutatesi in fatti. Racconto la vita in carcere e le sofferenze a cui siamo stati sottoposti. Ipotizzo come la nostra storia sia stata protagonista di un mancato golpe. Racconto dei miei rapporti in cooperativa, con i soci, con Salvatore, con Carminati.

Voglio unicamente portare un contributo alla giustizia sottolineando che il 416 bis non può essere fatto sulla pelle di persone che non c’entrano nulla…”.

Dr.ssa Mariagrazia MAZZARACO



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