Microalghe, la frontiera del Biodiesel

Pubblicato: 01/04/2023

Le microalghe possono essere una fonte sostenibile e preziosa di biodiesel

Microalghe, la frontiera del Biodiesel

II maggior potenziale di sviluppo per le coltivazioni di microalghe appare legato alla produzione di biodiesel, che consente una netta riduzione delle emissioni di CO2 rispetto all’uso di combustibili fossili, senza sottrarre risorse alle coltivazioni terrestri per fini alimentari. Dopo l’estrazione di biocombustibile, la biomassa microalgale residua può ancora essere impiegata per l’estrazione di biomolecole di interesse commerciale o per la produzione di biogas. La depurazione di reflui agricoli o civili da sostanze quali nitrati, fosfati e metalli pesanti è un ulteriore settore di sviluppo. Secondo Meisner (2007), nel 2015 i prodotti ricavati da microalghe avrebbero avuto un mercato potenziale, a livello mondiale, dell’ordine di 25-50 miliardi di dollari l’anno, dominato dalla produzione di biodiesel (50%), dall’assorbimento della CO2 e dalla produzione di integratori alimentari. La produzione di microalghe su grande scala deve tener conto dell’impatto sulle risorse idriche e sul territorio, mitigabile utilizzando colture in acque marine o salmastre e aree costiere marginali. Per ottenere inoltre bilanci economici, energetici ed emissivi vantaggiosi, in particolare nella produzione di biodiesel, occorre che l’intero ciclo di produzione sia basato su processi a basso costo e fonti energetiche rinnovabili o con ridotte emissioni [1].

Altro utilizzo efficiente e sostenibile, in ottica di bioeconomia circolare (fusione della bioeconomia con i principi di economia circolare), le microalghe possono essere impiegate per la produzione di sottoprodotti ad elevato valore economico nel settore farmaceutico, cosmetico, nutraceutico (pigmenti, polisaccaridi, antiossidanti, vitamine) ed industriale (bioplastiche etc.) [2].

Il biodiesel da microalghe ha molte potenziali applicazioni

Le ragioni dell’interesse sono legate ai molteplici vantaggi che le microalghe offrono come dimostrano i quattro bioreattori entrati in funzione dal novembre scorso. L’impianto, dice Vincenzo Michetti, responsabile ENI del filone di ricerca, è in grado di assorbire anidride carbonica e ricavare dalle microalghe una biomassa vegetale, in pratica una farina algale, per i mercati agroindustriali, alimentari e nutraceutici, oppure può essere trasformata in bio-olio, cioè un biodiesel. Contemporaneamente si genera ossigeno che reimmettiamo nell’atmosfera; oppure può essere dedicato ad altre necessità [3].

Teregroup ha recentemente inaugurato una nuova raffineria verde per la trasformazione dell’olio da alghe in biodiesel, jet fuel e materie eco-plastiche, con una potenzialità produttiva di 200.000 t/anno. Ma non ci sono solo Teregroup e Algamoil; negli Stati Uniti, ad esempio, un colosso come Chevron, in collaborazione con Solazyme, sta pianificando una produzione su larga scala, così come altre aziende quali Greenfuel, Solix Fuel e LiveFuel Alliance. Insomma, c’è un gran fermento (nel vero senso della parola) per rendere concretamente praticabile la possibilità di produrre combustibile, auspicabilmente a basso costo e con il minimo impatto ambientale, a partire da materie prime innovative. Anche perché l’Unione Europea ha emanato una Direttiva che impegna gli Stati Membri ad aumentare progressivamente nel tempo la quota minima di miscelazione dei biocombustibili (bioetanolo e biodiesel) nei combustibili di tipo tradizionale, sino ad arrivare ad un massimo del 10% in pochissimo tempo. In particolare, a livello nazionale, la scansione temporale è stata stabilita dal D.M. 10.10.14 del Ministero dello Sviluppo Economico, intitolato “Aggiornamento delle condizioni, dei criteri e delle modalità di attuazione dell’obbligo di immissione in consumo di biocarburanti compresi quelli avanzati”, che stabilisce le quote d’obbligo di biocombustibili (inclusi biometano e biopropano), al 5% delle immissioni in consumo di benzina e diesel nel 2015, al 5,5% nel 2016, al 6,5% nel 2017, al 7,5% nel 2018, al 9% nel 2019 e fino al 10% tra il 2020 e il 2022. In più, dal 2018, una parte di questo obbligo viene soddisfatta con biocombustibili ottenuti espressamente da materie prime di scarto o comunque non alimentari. Tale quota è fissata all’1,2% nel 2018 e 2019, all’1,6% nel 2020 e 2021, salendo al 2% nel 2022. Ciò renderà ancor più competitivo il biodiesel prodotto dalle alghe, che si “nutrono” proprio di sottoprodotti di vari processi e non consumano materie prime specificamente coltivate (come ad esempio la colza, il girasole e il mais per il biodiesel che ormai ben conosciamo) [4].

Bibliografia:

  1. https://www.ae-review.it/lo-stato-dell-arte_3979285.html Accesso 2023-03-15
  2. Biotecnologie per la Bioenergia.https://www.pandslegal.it/biotecnologie/biotecnologie-e-produzione-sostenibile-di-energia/ Accesso 2023-03-15
  3. Le microalghe come la pietra filosofale: trasformano la CO2 in farina e Biotecnologie per la Bioenergia.https://www.pandslegal.it/biotecnologie/biotecnologie-e-produzione-sostenibile-di-energia/ Accesso 2023-03-15 Accesso 2023-03-15
  4. Il nuovo biodiesel. Dalle alghe.https://www.pandslegal.it/biotecnologie/biotecnologie-e-produzione-sostenibile-di-energia/ Accesso 2023-03-15

Dott. Davide FRUMENTO



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