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La gnosi: un cristianesimo prima del cristianesimo (2 di 4)
Probabilmente, il testo più importante tra i 52 scritti di Nag Hammadi, è il vangelo copto di Tommaso, da cui, per come già vi scrissi in alcuni miei articoli precedenti, gli gnostici del nostro tempo, cercano di trarre quelle verità ineffabili verso la comprensione unica di dio. Il vangelo di Tommaso, inizia con queste parole: ‘Queste sono le parole pronunciate da Gesù vivente, e scritte da Didimo Giuda Tommaso, ed Egli disse: chiunque riuscirà ad interpretare queste parole, non sperimenterà la morte’. Didimo Giuda Tommaso, che letteralmente vuol dire ‘Giuda il fratello gemello’, era un fratello di Gesù, ma non nel senso letterale della parola, più probabilmente invece, come si riferisce nel vangelo stesso, colui che meglio comprese quelle parole; un po’ come a rappresentare, che chiunque comprenda veramente ciò che è celato in quel testo, possa diventare egli stesso illuminato come Cristo; un suo gemello. A tal proposito, e per meglio comprendere questo concetto di ‘ricerca’, vi riporto l’incipit del Libro di Tommaso il Contendente o l'Atleta, vangelo gnostico scritto in lingua copta nella prima metà del III secolo, che rientra nella letteratura siriana attorno all'apostolo Giuda Tommaso, intermedia per composizione e tematiche, proprio tra il Vangelo di Tommaso e gli Atti di Tommaso.
«Parole segrete che il Salvatore ha detto a Giuda Tomaso e che io stesso, Matteo, ho scritto. Mentre passeggiavo li ho uditi discorrere insieme. Il Salvatore disse: “Fratello Tomaso, fintanto che sei nel mondo, ascoltami, e ti rivelerò le cose sulle quali hai riflettuto in cuor tuo. Giacché fu detto che tu sei il mio fratello gemello e il mio vero amico, esamina te stesso, comprendi chi sei, come eri e come sarai. Siccome ti chiamano mio fratello, non ti conviene ignorare quello che sei. So che hai ottenuto la conoscenza poiché hai già conosciuto me che sono la conoscenza della verità; sicché tu cammini con me anche se non lo sai. Tu hai già conosciuto e sarai chiamato ‘colui che conosce se stesso’. Infatti, chi non conosce se stesso non conosce nulla, mentre colui che conosce se stesso è già a conoscenza della profondità del tutto. Perciò tu, mio fratello Tomaso, hai visto quanto è nascosto agli uomini, cioè quello di cui si scandalizzano, perché non lo conoscono“. Tomaso disse al Salvatore: “Per questo ti prego di dirmi quello su cui ti interrogai prima della tua ascensione. Quando odo da te le cose nascoste, allora posso parlarne e mi si palesa quanto sia difficile tra gli uomini compiere la verità ..» (Libro dell’atleta Tomaso. in NHC, II, 138, 1 sgg.)
Fu la tradizione cristiana, a trasformare successivamente, quel Tommaso, nello ‘apostolo scettico’; ma oggigiorno, è molto plausibile, che lo stesso invece, sia stato il più vicino a Gesù.
Il concetto di gemello quindi, simbolicamente, ci riporta a quella ‘ad immagine e somiglianza di Dio’; il vangelo di Tommaso, ci parla di una promessa della rivelazione. Una rivelazione che non possiamo ne vedere, ne udire, ne toccare, ne comprendere con ciò che la mente umana può; quella rivelazione, siamo noi ‘uomini’. Noi stessi siamo ciò che non possiamo udire, comprendere, toccare. Perché quel ‘essere noi’, non contempla la materialità di cui siamo fatti, ma ciò che ci anima, che risiede dentro di noi, la nostra essenza, la nostra coscienza. Ma questa ricerca, è immemore come i dettami del Dio Apollo, che tramite l’oracolo di Delphi, vaticina l’esortazione religiosa ‘nosce te ipsum’ (conosci te stesso); e per i cristiani fu la stessa cosa: ‘cercare la gnosi’.
Evagrio Pontico, in Sententiae spirituales- II, scrive: ‘Βούλει γνῶναι Θεόν; Προλαβὼν γνῶθι σαυτόν’ (Boùlei ghnònai Theòn? Prolabòn ghnòthi sautòn) - Vuoi conoscere Dio? Prima conosci te stesso. Un concetto simile si trova anche nel monito di Sant'Agostino: "Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas" («Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede la verità»). Il processo conoscitivo, sostiene infatti Agostino, non può che nascere all'inizio dalla sensazione, nella quale il corpo è passivo, ma poi interviene l'anima che giudica le cose sulla base di criteri che vanno oltre gli oggetti corporei. Così gli gnostici, come gli Orfici, credevano fermamente che l’anima fosse di natura divina – ma inferiore a Dio, ed infatti la chiamavano Daimon.
Fondamentalmente, gli gnostici ricercavano quella parte di noi, di cui siamo fatti, che è immortale. Non riceviamo nulla di nuovo da queste rivelazioni, nulla che già non possediamo, ma ci serviamo dell’auto-conoscenza per contemplare un’unica verità: ‘noi stessi siamo immortali, perché lo è la nostra anima divina’. La nostra essenza non è il corpo. All’apparenza siamo solo un corpo, ma in realtà siamo coscienza, e quella coscienza assiste alla nascita, alla morte, più di una volta; perché quei cristiani gnostici, credevano nella reincarnazione. Lo scrittore Peter Gandy, così ne scrive: ‘Gli gnostici, vedevano tutto questo come un processo automatico, un po’ come addormentarsi e risvegliarsi in un ciclo continuo in cui diversi corpi vanno e vengono; ma noi non siamo quei corpi, ma la coscienza che assiste a questo processo. Quindi noi non siamo mai morti, e non potremo morire. Tutte le cose, sono l’espressione di una cosa sola; pertanto, tutti gli esseri umani sono immagini, quelle figure che i greci chiamavano εἴδωλον (éidõlon), simulacri, spiriti. Immagini di un unico dio; la coscienza di cosa sia l’universo, che è tutto, che è Dio. Il divino che diviene cosciente di se stesso’. Gli gnostici chiamavano quell’unità onnisciente, il padre, ‘l’oscurità splendente’. Ove la luce non abbia nulla su cui riflettere, paradossalmente diviene essa stessa oscurità. Quindi quella stessa oscurità, è pura potenzialità. Solamente luce e coscienza, che prende coscienza di se stessa, percependo che non c’è nulla di cui esserne. In questa percezione, è racchiusa la trasformazione: ‘comprendere su cosa riflettere’; e solo allora si comincerà a manifestare il creato, l’universo. La manifestazione di ciò su cui la luce, riflettendoci, rende vivido. Tutti noi siamo immagini della coscienza, che è l’universo, che è tutto, che è Dio.
Il cristianesimo neo-testamentario, enfatizza e pone distanza tra noi e Dio. Dio è troppo lontano, irraggiungibile. Noi siamo esseri mortali, Dio è Dio. Invece il Vangelo di Tommaso, pone questa distanza come un limite brevissimo. Poiché, per colmarla, basta prendere coscienza che Gesù è il figlio di Dio, e noi come Egli, siamo a Sua immagine e Somiglianza. Perciò, noi siamo sua diretta espressione, vicina, simile.
Il forte messaggio del vangelo di Tommaso, che oggi assume un carattere meno sovversivo e pericoloso per la chiesa, certamente non lo era ai tempi dei primi cristiani, degli ultimi catari. Nel detto 77, che riporta: Gesù disse, “Io sono la luce che è su tutte le cose. Io sono tutto: da me tutto proviene, e in me tutto si compie. Tagliate un ciocco di legno; io sono lì. Sollevate la pietra, e mi troverete.”, si palesa una visione Panteista del Dio che è ovunque. Non servono templi o chiese per ricercare il Divino. La figura di un papa, per uno gnostico non ha nessuna valenza; perché non è attraverso la Sua figura che dio si palesa all’umanità. Fondamentalmente, lo gnostico è un anarchico della religione. La rivelazione gnostica, è in netta contrapposizione con le regole scritte della allora nuova chiesa. Il clero non serve. Solo l’auto-conoscenza è l’unica strada verso la consapevolezza divina. L’anima è immortale, per tanto, il regno dei cieli non passa obbligatoriamente per mezzo della chiesa. Lo gnosticismo è la religione dell’io individuale. Il messaggio è più importante del messaggero; ed il Gesù che si scontra con il sinedrio, che modifica le regole del sabba ebraico, che ispira questa ‘novella’, che sovverte i canoni, è l’immagine perfetta del pensiero gnostico. Lo gnostico è un libero pensatore.
Fine seconda parte
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