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La gnosi: un cristianesimo prima del cristianesimo (4 di 4)
La crocifissione di Gesù, quale sacrificio di redenzione quindi, per i cristiani, ha inserito un nuovo elemento nella relazione tra l’uomo ed il divino: ‘il peccato’. L’elemento centrale del messaggio cristiano, la sua leva, è la quantità del senso di colpa che riesce ad instillare nel credente in quanto peccatore. Dio è li che vede, che sa tutto ciò che facciamo, ciò che pensiamo; ed il concetto di peccato, si amplifica e si divide in quello corporale e spirituale. Non si è peccatori solo fisicamente, ma esistono anche i peccati delle omissioni, dei nostri pensieri. Dio ci punisce anche per i peccati della mente. Il peccato, il rimorso ed il senso di colpa, hanno materializzato nel pensiero cristiano, un concetto di inferno sempre più plausibile e reale. Idee queste, che gli gnostici non volevano condividere; perché l’idea del peccato, non apparteneva al loro senso di intendere la religione. Questo non voleva significare che uno gnostico non commetta peccato, ma il modo per ritrovare la continuità del rapporto con dio nel perdono, la si poteva trovare nella propria intimità, nel proprio personale dialogo con dio, in un rapporto di riconciliazione diretta. (fonte Werner Weick)
Ma è per rendere il peccato così importante, che Gesù si è dovuto sacrificare per redimerci. Idea di peccato mortale, focalizzata ed enfatizzata nel mito di Adamo ed Eva e di quello originale, per il quale siamo stati resi mortali. Prima del cristianesimo ortodosso però, gli gnostici, gli ebrei, ed maestri pagani, non si soffermavano molto sull’importanza di questo mito; ma esclusivamente sul fatto che ognuno di noi, ha dentro di se l’impulso del bene e del male, condizione umana che li rende liberi di commettere degli errori; seppure, gli antichi maestri, ritenevano che la gravità di quella disubbidienza di Eva, non poteva essere stata causa di una così grande punizione che ha scacciato l’uomo dal paradiso terrestre. A tal proposito, esistono alcuni scritti gnostici, che rappresentano come la figura del serpente tentatore, non fosse altro che quella di Gesù stesso, che come portatore di conoscenza, di sapienza, abbia di proposito indicato ad Eva di mangiare quella mela; e che il padre, meravigliato della bellezza dell’uomo, della sua perfezione, invidioso quasi della sua stessa creazione, non volesse che mangiandola, acquisisse anche la Sua di conoscenza, rischiando così di essere eguagliato. (Gen 3,5 ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male).
Quanto vale perciò, realmente quella mela? Una piccola disobbedienza, che ha segregato il genere umano a vivere in un mondo inferiore oramai da millenni, piuttosto che continuare a camminare insieme il nostro creatore nel paradiso che Egli stesso creò per l’uomo. L’idea del peccato innato nella natura umana perciò, si sviluppò solo con Sant’Agostino - nel cristianesimo successivo -, attorno al quarto secolo; e da allora in poi, venne canonizzato come insegnamento cristiano. In questo contesto, quei cristiani, svilupparono l’idea concreta dell’esistenza di una netta distanza tra gli uomini ed il creatore; ed il peccato, causa di questa lontananza, fu il motivo del sacrificio salvifico di suo figlio Gesù. Idea questa, in netta contrapposizione con i cristiani del secondo secolo, che intendevano la figura di Gesù, come troppo importante per subire l’umiliazione terrena della crocifissione.
A tal proposito, in alcune epistole gnostiche, (proprio a rimarcare questo status superiore, illuminato, e divino di Gesù), così come nel Commentario al Sura IV del Corano, e nel vangelo di Luca 23,26 (seppur ognuna nel proprio contesto testuale religioso), viene narrato che: ‘quasi esanime dopo la flagellazione, nel condurre sulle spalle la propria croce verso il Golgota, Gesù, nel cadere sotto il peso della stessa, mortificò, nel suo lamento silente, la scorta romana che ne vigilava il percorso, a tal punto che, avvilita dal trattamento che si stava riservando a quell’uomo famoso, la fece imbracare sulle spalle di Simone di Cirene, ordinandogli di portarla dietro di Gesù; e quest’ultimo, scambiatosi con lo stesso, riuscì ad evitare il supplizio, del cui sacrificio, se ne fece carico il Cireneo’. Questo concetto, è fondamentale per il pensiero gnostico; perché è grazie a questo interscambio, che Gesù vivente, ascese al cielo e compì il proprio destino. Perché Gesù, era la voce di dio, il simbolo della conoscenza immanifesta del divino, che acquisì la saggezza del padre al momento del battesimo, quando divenne ‘colui che sa’, il cristo; e questi concetti, presi alla lettera dai cristiani ortodossi, trasformarono definitivamente quell’uomo, nell’unigenito figlio di dio. Concetto quest’ultimo, che definì irrimediabilmente la netta divisione tra i due pensieri religiosi, con la redazione del vangelo di Giovanni, (ultimo della bibbia), che sovvertì anche i precedenti tre, quelli di Matteo, Marco e Luca, ponendo delle precise linee di confine con gli stessi, che a differenza di questo, non si riferivano espressamente alla figura di Gesù ‘unigenito figlio di Dio’, ma come ‘del Suo Messia, che indica la via della giustizia’, come espressione terrena del messaggio che Egli propinava attraverso Gesù stesso; attraverso i suoi insegnamenti, le sue parole. Quindi, fino a quel momento, si poteva essere anche ‘ebrei devoti’ al Cristo, e seguire Gesù. ‘Ma con la pretesa radicale dell’evangelista Giovanni, che Gesù fosse l’unigenito figlio di Dio - commenta la Pagels -, che in realtà non ho mai visto menzionata dagli ortodossi prima dell’anno 160, questa diviene la lente attraverso la quale i cristiani, in seguito, leggeranno tutti i vangeli. Gradualmente, mi sono convinta che, sembra strano a dirsi, il vangelo di Giovanni venne scritto per contrastare le altre visioni; mutando drammaticamente la comprensione del messaggio cristiano.
Gli gnostici, così come il pensiero dei primi culti antichi, pensavano che in questa vita, stessimo vivendo una sorta di morte apparente; e che il nostro presente, fosse l’inferno. Viviamo il nostro oggi come dei ‘non morti’, perché siamo morti spiritualmente, ma vivi all’interno di questo nostro corpo che crediamo essere ‘il noi stessi’. Siamo dio, che è luce dentro di noi, incapsulato nel buio del nostro involucro mortale. Per questo abbiamo bisogno di morire corporalmente, di abbandonare questo corpo e di rinascere nella luce della resurrezione, auto-conoscere la nostra vera identità in cristo, che è coscienza del padre, che è conoscenza, che è tutt’uno con l’universo, che siamo noi, ma anche lui; ed in questo contesto, tutti siamo anche figli di dio. Il mito della croce, è un modello che porterebbe tutti noi attraverso l’iniziazione.
Ma immediatamente, torna netta la distinzione tra gnostici e ‘letteralisti’; quest’ultimi cristiani infatti, accolgono l’idea di una postuma resurrezione alla fine dei tempi, così come quella del Cristo, in un corpo fisico. ‘Cristo, è morto e risorto nel medesimo corpo’; così come per lui, lo stesso sarà quindi per noi. Mentre per gli gnostici, se in questa vita non comprenderemo il messaggio del Cristo, rinasceremo e ci reincarneremo nuovamente, in un altro corpo, in più cicli continui, fino a quando ci renderemo conto che non occorrerà ‘un involucro’, che noi non siamo quell’involucro, ma noi siamo il Cristo, l’uno, e non avremo più necessità quindi di attraversare i cicli della reincarnazione.
L’imperatore Costantino per decreto imperiale, ed il successivo Concilio di Ninea, hanno compiuto il resto; hanno deciso per tutti noi, hanno scelto ciò che fosse canonico e non, ciò che fosse salvifico e cosa non lo fosse, lasciando e confinando tutto il resto, ad un’eresia pagana.
…ed anche questa, è parte di una storia più grande di tutto il resto, di tutti noi.
Fine parte quarta
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