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Yeshuà ben Yosef, Yeshouà bar-Abbà, o Yeshu haNotzri (w)HeMMelech heYehudim?
Tratto da Domus Sapientiae – Liber II di Emilio Ferrara
All’interno del ‘liber II’, della mia collana testi Domus Sapientiae, ho cercato di rispondere a questa domanda, riportandovi in questo articolo ri-editato ed ampliato, ciò che è il risultato delle mie ricerche a tal proposito.
Partiamo da un dato quasi ormai certo, il Gesù dei Cristiani (Yeshuà ben Yosef), non è nato biologicamente a mezzanotte del 25 dicembre dell’anno zero; ma tra il sei ed il sette di gennaio dell’anno 6 o 7 dopo Cristo. Lo so, appare strano dire Gesù è nato nell’anno 6 o 7 dopo se stesso, ma tale è. Se proprio vogliamo scriverlo in modo diverso (e non come riportano in molti ‘6 o7 a.C.’), potremmo anche accettare che Gesù è nato nell’anno 6 o 7 dopo quello denominato ‘anno zero’; come pure, è diversa l’interpretazione della Sua rinascita come ‘Dio’ che esotericamente è il fondamento della Pasqua Cristiana – la festività religiosa più importante di questo credo – che ha una significatezza diversa per quello ebraico. Accennato questo, passiamo adesso a discutere della provenienza di Gesù. Il Gesù di Nazareth.
Yeshu haNotzri
Con l’espressione ‘Gesù il Nazareno’, nella quasi totalità dei casi, ancora oggi, ci si riferisce alla Sua provenienza dalla cittadina di Nazareth; siamo certi che sia proprio così?
Oggi, come già dieci anni or sono, di questa, ne scrisse così lo storico Davide Donnini: ‘è tempo di ‘mettere in cattedra’ anche testi che, seppur non canonici, insistono in versioni che rivelano diverse e paritetiche verità’. […]:’Nazareno infatti, sarebbe l’aggettivo utilizzato per attribuire la cittadinanza di Gesù al villaggio di Nazareth; ma come appresso leggerete, forse, proprio così non è’.
Al Capoverso 47 del vangelo apocrifo di Filippo si legge: [Gli apostoli che sono stati prima di noi l’hanno chiamato cosi: ‘Gesù Nazareno Cristo’. L’ultimo nome è ‘Cristo’, il primo è ‘Gesù’, quello in mezzo è ‘Nazareno’]. ‘Messia’ ha due significati: tanto ‘Cristo’ che ‘il limitato’. ‘Gesù’ in ebraico è: ‘la Redenzione’. ‘Nazara’ è: ‘la Verità’. perciò ‘Nazareno’ è ‘quello della Verità’. La datazione di questo documento, è fatta risalire al secondo secolo dopo Cristo. Per tanto, già solo duecento anni dopo la nascita di Gesù, era noto che il termine Nazareno, non fosse indicativo della sua provenienza geografica.
Nel 1927, il rabbino e filosofo ebreo Elia Benamozegh, nel suo libro ‘Gli Esseni e la cabala’ scrive: ‘Neppure è improbabile che i primi cristiani siano stati chiamati nazireni nel senso di nazirei, piuttosto che, originari della città di Nazareth; etimologia che probabilmente ha sostituito la prima, quando l’antica origine dall’essenato cominciava ad essere dimenticata’.
Alfred Loisy, sacerdote cattolico, professore di ebraico e sacre scritture all’istituto cattolico di Parigi, nel suo libro ‘Le Naissance du Christianisme’ scrive: ‘La stessa tradizione, ha fissato il domicilio della famiglia di Gesù a Nazareth, allo scopo di spiegare così il soprannome di nazoreo, originariamente unito al nome di Gesù e che rimase il nome dei cristiani nella letteratura rabbinica e nei paesi d’Oriente’. Nazoreo è certamente un nome di setta senza rapporto con la città di Nazareth.
Charles Guignebert professore contemporaneo di storia del cristianesimo all’università parigina della Sorbona, nel suo testo Manuale de Historia Antigua del Cristianismo, scrive: ‘La piccola città che porta questo nome, Nazareth dove ingenui pellegrini possono visitare l’officina di Giuseppe, fu identificata come la città di Cristo, solamente nel medioevo’.
L’italiano Ambrogio Donini, Accademico laureatosi ad Harvard altresì, nel suo ‘Breve storia delle religioni’ del 1959, scrive: ‘In realtà, per quel che riguarda Nazareth, gli storici non hanno potuto trovar traccia di una città di quel nome fino il quarto secolo dopo cristo; le fonti ebraiche invece, ne danno indicazione dopo il nono secolo d.c.’. Nei vangeli infatti, non troviamo mai l’espressione Gesù di Nazareth, ma Gesù il nazoreo, talvolta scritto il nazoreno o nazareno. Per tanto, nessuno di questi appellativi, seppur forzandoli, possono far intenderne il significato quale appartenente alla cittadina di Nazareth. Anzi è da questi termini che è derivata la città di Nazareth e non viceversa.
Tant’è che, molto presumibilmente il Gesù dei Cristiani, era – sin dalla sua infanzia – cresciuto in una cittadina che si chiamava ‘Gamala’; e che probabilmente, vi è anche ritornato dopo la ‘Pasqua in Gerusalemme’. Questa presunto ritorno, è citato finanche da G. Falvio, che tra i tanti Suoi scritti fino al 64 d.C., cita:
- Γαμάλα μὲν υἱὸς Ἰησοῦς (Guerra Giudaica IV, 160): ‘Gesù figlio di Gamàla’, dove hyiòs, figlio, è sicuramente un calco dall'ebraico ben (figlio) oppure (appartenente a – intesa come provenienza);
- Ἰησοῦν τὸν τοῦ Γαμαλᾶ (Vita 193; cf. 204): ‘Gesù quello di Gamalà’.
Yeshouà bar-Abbâ
Questo passo che avete letto in trafiletto, è tratto dal Vangelo canonico di Matteo (nella nuova versione C.E.I.), e si riferisce al processo a cui Gesù il Cristo, venne sottoposto sotto Ponzio Pilato.
Analizzando questo testo ‘riveduto’, troviamo sul tavolo degli imputati due soggetti: ‘un prigioniero famoso, detto Barabba’ ed il ‘Gesù chiamato il Cristo’. Nella versione del medesimo passo, tratta dall’edizione del 1933, curata dal Pontificio Istituto biblico, invece si legge:
15Κατὰ δὲ ἑορτὴν εἰώθει ὁ ἡγεμὼν ἀπολύειν ἕνα τῷ ὄχλῳ δέσμιον ὃν ἤθελον.
16εἶχον δὲ τότε δέσμιον ἐπίσημον λεγόμενον [Ἰησοῦν] Βαραββᾶν. 17συνηγμένων οὖν αὐτῶν εἶπεν αὐτοῖς ὁ Πιλᾶτος· τίνα θέλετε ἀπολύσω ὑμῖν, [Ἰησοῦν τὸν] Βαραββᾶν ἢ Ἰησοῦν τὸν λεγόμενον χριστόν;
18ᾔδει γὰρ ὅτι διὰ φθόνον παρέδωκαν αὐτόν.
(16-18) ‘Avevano allora un noto carcerato, di nome Gesù Bar-abba. Essendo dunque radunati, Pilato domandò loro: Chi volete che vi liberi, Gesù bar-Abba o Gesù detto il Cristo’?
Alla luce di questa lettura, sono certo che molti di voi, arricceranno il naso; ma seppure ‘strana’ vi pare questa versione, sicuramente non ha un’origine anti-cristiana. Al contrario, (vista la provenienza), sotto questi ‘luminosi raggi evangelici’, non ci sarebbe nessuna onesta spiegazione per la quale uno scriba, avrebbe dovuto aggiungere – magari anche involontariamente -, la parola ᾿Ιησοῦν ( Ihsoun - Gesù ) prima di Βαραββᾶν (Barabban = àbbA-rab = figlio del Padre); soprattutto perché Barabba è menzionato per primo in ogni verso. Inoltre, l'aggiunta di τὸν λεγόμενον Χριστόν ( ton legomenon Criston , ‘che è chiamato Cristo’) a ᾿Ιησοῦν nel vers. 17, ha più senso se Barabba è anche chiamato Gesù (altrimenti, un semplice ‘Gesù’, sarebbe stato sufficiente per distinguere i due). Ancora come, nel vers. 16, il nome Gesù è fornito prima di Barabba (manca l'articolo τόν [ ton ] prima di Βαραββᾶν [ Barabban ]). Infatti, stando al testo greco dei vangeli più antichi, Gesù parla spesso di Dio, rivolgendosi alla gente, usando sempre i termini: ‘il Padre mio’, ‘il Padre che è nei cieli’.
E proprio come vi ho riportato nell’immagine sopra – a proposito di quanto scritto nel vangelo secondo Marco (Mc 14, 36) – leggiamo a proposito di Gesù che si rivolge a Dio: ‘Abbà, Padre, tutto è possibile per te’. Qui, oltretutto, compare sia il termine tradotto (Padre), che quello originale usato dagli ebrei (Abbà). Anche nella liturgia latina troviamo comunemente ‘filius Patris’, che è proprio la traduzione letterale dell'espressione usata nella parlata aramaica. Così come, nella definizione di Padre Nostro, si evidenzia il modo di riferirsi ‘al padre’, utilizzando la terminologia Abbà-Avi-Avinu. Quindi, sempre secondo il Vangelo di Matteo pertanto, è stato liberato giustamente ‘il figlio di Dio’, cioè il predicatore nazireo; ed altrettanto giustamente, condannato a morte l'aspirante Re d'Israele, che aveva violato il crimen di lesa maiestàtis dell'imperatore romano. Per tanto, abbiamo i due uomini chiamati Gesù: ‘uno è il predicatore (nazireo) ‘il Figlio di Dio’, che appunto viene liberato dalla folla’, - e l'altro invece, è ‘il ribelle, che alla testa di un gruppo di combattenti armati, si autoproclama Re dei Giudei - che cerca di scacciare l'usurpatore romano -, e viene condannato e crocifisso, in ottemperanza alla lex romana.
Tutto questo per tanto, potrebbe essere successivamente ben legato alle citazioni di G. Flavio e del Gesù di Gamala; ma riguardo la resurrezione del Cristo? - E se quanto sopra scritto, fosse tutta una mia errata interpretazione? –Cerchiamo di capirlo.
Se voleste iniziare la lettura dei vangeli da quello più antico – il primo – e cioè quello di Marco, con grande stupore, vi rendereste conto che lo stesso, non menziona o riduce ai minimi termini (nelle Sue versioni più antiche e non le ‘nuove rivedute’), proprio quello che è l’accadimento più importante sul quale si fonda il Cristianesimo, e cioè: ‘la resurrezione di Cristo’. Ma Perché? - Innanzitutto, possiamo ben affermare che anche diversi teologi cattolici cristiani, confermano che allo stesso vangelo, furono aggiunti in seguito: ‘non pochi importanti aggiustamenti’. Tant’è, che originariamente, questo vangelo, terminava al versetto 16, 5-8, con queste parole: ‘5 Entrati nel sepolcro, videro un giovane vestito di una veste bianca seduto sul lato destro e furono allarmati. 6 ‘Non allarmarti’, ha detto. ‘Stai cercando Gesù il Nazareno, che fu crocifisso. Si è risvegliato! Non è qui. Guardate il luogo dove lo hanno deposto’. 7 Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: ‘Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrai, proprio come ti ha detto '. 8 Allora essi uscirono in fretta e fuggirono dal sepolcro, perché tremavano e si stupivano. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura’.
A prescindere o meno che questa sia la reale fine, o quella chiamata ‘long edition’ che termina con il versetto 16, 20 della C.E.I.; la particolarità del testo è tutta nel versetto 6, dove non è riportata la parola risorto – bensì – risvegliato.
Infatti, il testo greco, a differenza delle moderne traduzioni fuorvianti dello stesso, tende ad essere molto più preciso. Rileggiamo il versetto 6 in lingua greca e compariamolo con la sua traduzione C.E.I.: ‘6 ὁ δὲ λέγει αὐταῖς· Μὴ ἐκθαμβεῖσθε· Ἰησοῦν ζητεῖτε τὸν Ναζαρηνὸν τὸν ἐσταυρωμένον· ἠγέρθη, οὐκ ἔστιν ὧδε· ἴδε ὁ τόπος ὅπου ἔθηκαν αὐτόν·’ – ‘6 Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l`avevano deposto’. La parola ἠγέρθη (egerthe) però, mentre oggi viene utilizzata per indicare ‘risorto dalla morte’; nel suo significato originario era distaccato da tale contesto. Infatti egerthe, deriva da έγείρω (egeiró) – che vuol dire ‘svegliarsi, alzarsi’ – e non certamente ‘resuscitare’.
Allora, se questa ‘resurrezione’ citata in Marco 16, fosse più che altro un simbolico allegorismo riferito ad un ‘risveglio’ spirituale ed illuminato, dove potremmo dipanarne il dubbio?
Alcuni frammenti dei rotoli di Nag Hammadi, il vangelo copto di Tommaso, di Giuda e quello di Maria, come pure il secondo trattato di Seth del vangelo gnostico di Basilide, non citano mai questo accadimento, che bensì, lo ritroviamo però nei testi di Paolo di Tarso, che oltretutto – a differenza di Tommaso, Giuda e Maria -: ‘il Messia nemmeno lo conobbe’.
Ma, a dare un senso veramente forte a questo ‘presunto evento’, è proprio il testo fondamentale del credo islamico; il Corano. Infatti il Sura IV, ai versetti 157, 158 e 159 recita: ‘e dissero: «Abbiamo ucciso il Messia Gesù figlio di Maria, il Messaggero di Allah!». Invece non l’hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro [104]. Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non lo hanno ucciso [105] 158. ma Allah lo ha elevato fino a Sé. Allah è eccelso, saggio. 159. Non vi è alcuno della Gente della Scrittura che non crederà in lui prima di morire [106]. Nel Giorno della Resurrezione testimonierà contro di loro’.
[104] «ma così parve loro»; «shubbiha lahum»; qualche volta questa espressione è stata tradotta con: «gli è stato sostituito un sosia». Ma la forma coranica non permette questa precisione.
[105] Gesù non è morto per mano degli uomini, la sua crocifissione non fu che un’illusione voluta da Allah che ha innalzato Gesù fino a Lui (vedi versetto successivo).
[106] L’escatologia islamica e l’esegesi (Tabari VI,8 e ss.) descrivono lo svolgersi dei «tempi ultimi», in cui Gesù (pace su di lui) ritornerà sulla terra scendendo a Damasco; ucciderà l’Anticristo e rimarrà per sette anni (o quarantanni), durante i quali l’IsIàm trionferà e anche gli israeliti e i cristiani riconosceranno la sua vera natura e crederanno nella sua missione profetica. Un’altra interpretazione afferma che il versetto indica lo schiudersi della verità che avviene in punto di morte. In tal caso gli ebrei si renderanno conto delle menzogne che proferivano contro Gesù e sua madre (pace su entrambi) e i cristiani del fatto che egli era un servo e un messaggero di Allah e non «Suo figlio».
Yeshuà ben Yosef (Yeshuà bar-Yosef)
Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E’ risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete». Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia. (Vangelo di Matteo 27;62-66)
Questo passo, è tratto dall’ultimo capitolo del vangelo di Matteo. Qui si dice chiaramente, che furono poste guardie a veglia del corpo di Gesù, perché i sacerdoti ebrei, erano venuti a sapere che i discepoli del Cristo volevano rubarne il corpo per fare circolare la voce della resurrezione, e che Pilato, concesse le guardie solo il giorno dopo; di conseguenza i suoi discepoli, avrebbero avuto tutta la notte per trafugare il corpo. Inoltre, quando le guardie furono poste davanti alla Tomba esse non si accertarono, riaprendola, che il corpo vi fosse ancora deposto.
Questo ‘dubbio’, nel 2007, ha acceso un importante dibattito (ancora oggi aperto) su una scoperta archeologica risalente vent’anni prima (nel 1980), all’interno di una tomba nel circondario israeliano di Talpiot Est (cinque chilometri a sud della Città Vecchia di Gerusalemme, nei pressi di Gerusalemme Est) dall’archeologo israeliano Yosef Gat.
Questa tomba, secondo alcuni studiosi, sarebbe la tomba di Gesù Cristo contenente i suoi resti e quelli della sua famiglia. Il sito conteneva dieci ossari , uno dei quali trafugato, ma poi ritrovato, e quello diventato famoso nei primi anni del 2000, recante al scritta “Giacomo Figlio di Giuseppe Fratello di Gesù”. Tra i sei restanti, con epigrafi, una reca la scritta «Gesù, figlio di Giuseppe».
Il geologo Aryeh Shimron, che ha lavorato sul sepolcro dal 1980 in poi, ha dichiarato nel 2015 di avere nuove prove sulla autenticità della tomba, collegandola al decimo ossario mancante, cioè il cosiddetto e controverso ossario di Giacomo (che riporta la scritta “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”).
In merito agli ossari, come anticipato, sei dei nove contengono delle iscrizioni. Tre degli ossari con iscrizioni contengono nomi di figure del Nuovo Testamento.
Le iscrizioni sugli ossari della tomba della famiglia di Gesù, recitano :
- Yeshua bar Yehosef, Aramaico per “Gesù figlio di Giuseppe”
- Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesu’ (trafugato e poi riapparso nel 2003)
- Maria, scritta in aramaico, ma forma latina del nome ebreo “Miriam” (“Maria”)
- Yose, diminutivo di “Giuseppe” menzionato (nella sua forma greca ιωσης “Joses”) cosi come viene indicato uno uno dei fratelli di Gesù nel Nuovo Testamento (Marco 6:3)
- Yehuda bar Yeshua, Probabilmente aramaico per “Giuda figlio di Gesù”
- Mariamene Marà (la signora).Secondo alcuni storici, questo è il termine greco che sta per “Maria detta la padrona.” Il nome simile “Mariamne” si trova negli Atti di Filippo. Francois Bovon, professore di Storia della Religione all’Università Harvard ha suggerito, nel suo studio su quel lavoro, che Mariamene, o Mariamne, era il nome effettivo di Maria Maddalena. Il termine Marà é usato per esaltare il ruolo della defunta appellata come “signora”
- Matya, Ebraico che sta per Matteo, ritenuto non Matteo l’Evangelista ma “probabilmente il marito di una delle donne i cui resti si trovavano in uno degli ossari senza iscrizioni.”
Ma anche questa, è un’altra storia; e se altre e tante se ne possono ancora scrivere e raccontare, vi lascio con le ipotetiche ultime parole di quell’uomo chiamato ‘Gesù il figlio di Giuseppe’, e del Cristo ‘Gesù figlio del Padre’.
(…); omissis: ‘quando sarà giunto il giorno mio, e quando avverrà quello di mio padre; le acque nuovamente si uniranno ai cieli. Le numerose terre, oramai desolate, raccoglieranno tutti gli armenti e le greggi in vita; le colombe si fermeranno di volare, ed i serpenti di strisciare. Lunga sarà la battaglia di quel sotto, che è come sopra; ed i giorni, non trascorreranno senza più lune. Gli astri gireranno vorticosi, e quando il padre mio s’alzerà dal Suo trono, tutti gli angeli esulteranno in coro; allora finiranno tutti i viaggi, ed il tempo non scorrerà più. Il più potente dirà solo una parola; e tutti saremo salvati’.
(Yeshu Ben Yosef / 63 d.c.)
(…); omissis: ‘ed in quel tempo m’incarnai nelle spoglie mortali del mio prediletto figlio; mi espressi, vissi la mia creazione, ed il supplizio mortale su questa rossa terra. Riposai inanimato dentro una caverna sepolcrale, mi risvegliai di piena luce, e proseguii nel tempo a seguire quel che era il ‘viaggio’ mio, il viaggio di tutti i miei figli; non più qui, ma altrove. Cosicchè, i miei figli Beati; comprendessero la via per i nove cieli, che esistono splendenti sopra di loro’.
(Yeshu Bar-abbâ / 39 d.c.)
Nota: i termini ‘ben’ e ‘bar’, indicano entrambi l’accezione ‘figlio’; ‘bar’ è in dialetto aramaico e ‘ben’ in lingua ebraica.
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