“Pazzi” e piccoli per la causa del Vangelo

Pubblicato: 21/09/2024
“Pazzi” e piccoli per la causa del Vangelo

I discepoli sono con Gesù, camminano con lui, però al tempo steso hanno la libertà di discorrere di qualunque argomento.

Gesù non gli sta addosso, permette loro di dire quello che vogliono finché non giungono alla meta, alla casa dove entrano. In quel momento, è proprio lì, che Gesù poi vorrebbe fare un po' il punto della situazione, poiché li chiama, li invita a sedere, e parla loro.  

I verbi usati in questa pericope evangelica: chiamare, sedere, parlare indicano, in qualche modo, che c’è una solennità o quantomeno si deve vivere un momento importante, una sorta di verifica del cammino e di quello che si era detto lungo la strada, perché la domanda che rivolge loro è proprio in questa direzione: “di che cosa stavate discorrendo per la strada?”

Erano presi da un argomento piuttosto mondano confrontandosi su chi poteva essere degno di rientrare tra i primi, i privilegiati del Signore. Se ci pensiamo ci accorgiamo che, in generale, questa è la tendenza dell’uomo di tutti i tempi: affermarsi nella vita. Non che questo costituisca un errore, perché affermarsi, avere dei riconoscimenti, essere confermati in quello che si fa, sentirsi gratificati, migliorare anche la propria posizione, è una giusta ambizione e tra l’altro mette la persona in condizione di vivere più serena e ed essere più utile al prossimo, soprattutto se si sente realizzata. Infatti se uno non sta bene, nelle cose che fa, non si sente valorizzato per quelle che sono le sue capacità, le sue doti, potrebbe cadere in uno stato di frustrazione, tanto da sentirsi inutile, scoraggiarsi e in qualche caso perdersi completamente.

Se questo è lecito allora dov’è il problema? Tutto nasce quando, per tutta la vita, non si fa altro che pensare a questo, ci si arrovella il cervello e ci si batte per fare carriera a tutti i costi, anche corrompendo l’autorità o falsificando la realtà. Tutto per acquisire un posto di prestigio, per ottenere potere e per esercitarlo sugli altri. Sicuramente è questo che aveva in mente Gesù, questo è il vero problema: vivere per primeggiare, vivere con questo assillo, e Gesù sa molto bene che questo tipo di fissazioni compromettono la serenità e soprattutto la libertà interiore. Infatti l’ultimo o colui che occupa l’ultimo posto o almeno desidera occupare l’ultimo posto è il più libero di tutti. 

A questo riguardo possiamo subito rifarci a San Francesco d’Assisi, e alla sua scelta evangelica di farsi povero e ultimo per essere il più vicino possibile a Dio; a don Tonino Bello che, nella sua umiltà, come pure nel suo agire pastorale, da terziario francescano quale era, ha voluto vivere il ministero di vescovo ponendosi come egli stesso diceva “sul passo degli ultimi”; il suo programma pastorale era proprio questo: “ascoltino gli umili e si rallegrino” (salmo 33), proprio per stare insieme agli ultimi e mettesi in ascolto dei più reietti. 

Con questa logica evangelica, paradossalmente, l’ultimo può occupare tutti i posti, dall’ultimo al primo appunto. E’ questa libertà che il Signore ci chiede. La libertà che contraddistingue il vero cristiano,  colui che vive veramente il Vangelo e non va alla ricerca, a tutti i costi, del primo posto. Certamente un buon cristiano vorrebbe essere gratificato, essere riconosciuto, come tutti, ma questo per lui non diventa un impedimento ad agire e a compiere il bene, comunque, anche in mezzo a tanta ingratitudine o ingiustizia.

Il Signore ci chiede di vivere davvero questa umiltà, così come tanti veri seguaci di Cristo hanno fatto. Don Tonino Bello a motivo della sua bontà, umiltà e radicalità evangelica spesso veniva bollato come un profeta vacuo, illuso da false utopie, un vescovo dalle idee pazze, semplicemente perché voleva vivere in pienezza il Vangelo e testimoniarlo in prima persona agli altri anche da maestro, in quanto vescovo del popolo a lui affidato. L’attenzione del compianto vescovo di Molfetta verso gli ultimi lo induceva a chiamarli ognuno per nome, indirizzando loro quelle bellissime lettere cariche di grande pàthos e soprattutto accompagnate da gesti e scelte pastorali inequivocabili, perché solo gli ultimi e coloro che si reputano tali sono nel cuore di Dio

Ogni cristiano, se vuole dirsi tale, “seguace di Gesù”, non dovrebbe tanto perdere la testa per quella smania di potere che  spesso emerge nel cuore di goni uomo, ma concentrarsi piuttosto su ciò che è chiamato a fare dalla vita, su ciò che corrisponde alla propria vocazione e farlo bene con dignità e con gioia, con uno spirito di servizio umile al prossimo e a Dio. ln questo dovrebbe sentirsi realizzato e anche gratificato. Poi sarà la storia, saranno gli altri, sicuramente, a farlo “scalare di posto”, o addirittura a metterlo al primo posto, se sarà necessario.

E’ il Signore a chiederci questa libertà, una libertà nell’agire, una libertà nel porgersi agli altri, una grande libertà nell’amare Dio e nell’amare il prossimo, una libertà che se vogliamo rene la vita migliore anche semplicemente su un piano umano.

don Alfonso GIORGIO



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