Alimentiamo la speranza per essere luce in mezzo alle tenebre

Pubblicato: 11/11/2023

XXXII del T.O.anno A 

Alimentiamo la speranza per essere luce in mezzo alle tenebre

L’Anno Liturgico sta per finire. Come è noto, i Vangeli di queste domeniche ci rimandano a quelle che sono le “realtà ultime”, a quella che chiamiamo in gergo tecnico l’ “Escaton” da cui l’“escatologia”: dottrina teologico-filosofica sui destini ultimi dell’uomo e dell’universo, cioè i temi delle realtà ultime che riguardano la fine, la fine della nostra esistenza, la fine del mondo. Si tratta  di temi che difficilmente l’“uomo della strada” affronta, anche perché non  piace a nessuno oggi parlare di queste cose. Però il dato è certo, ci sarà una fine e su questo punto siamo tutti concordi.

Anche gli atei, in effetti, ammettono che una fine vi sarà, come pure  la scienza che conferma la fine di tutto, la fine del mondo. E per quella che è la nostra personale fine, almeno per quel che concerne il cammino terreno cosa possiamo dire? Ci sarà? Non siamo qui, eterni, in carne e ossa. Però noi crediamo nella vita eterna. Crediamo dunque in quello che chiamiamo il giudizio universale, la venuta ultima e definitiva di Cristo, quando verrà nella gloria. È questo il richiamo evangelico che risuona in queste ultime domeniche dell’anno liturgico ed è per questa ragione che ci viene chiesto di mantenere vivida la nostra Fede.

La parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte che viene proposta in questa domenica è di immediata comprensione, poiché il tema della luce e della lampada da alimentare con l’olio, ci rimanda proprio, alla necessità per noi credenti di rimanere fedeli a Dio in ogni momento della nostra vita, alimentando così la nostra relazione di Fede con Lui. E sarà proprio l’olio della preghiera e della carità a determinare questa continuità nella Luce de Signore.

Mantenere la luce della fede accesa significa anche impegnarsi ad avere delle “scorte”, come fanno le vergini sagge che provvedono per tempo. Avere delle scorte significa alimentare questa luce, avere con sé sempre dell’olio in più e, in continuazione, prodigarsi perché non manchi mai, attraverso l’impegno costante della preghiera, attraverso una vita coerente con il Vangelo, una vita veramente vissuta secondo il Vangelo, secondo quello che il Signore ci chiede in ogni omento della nostra vita.

La luce della Fede ci permette poi, di passare oltre le tenebre e di rimanere con Cristo, con lo sposo che viene all’improvviso. Tutto questo ci fa capire quanto precaria sia la nostra vita. Infatti non possiamo decidere noi, non abbiamo una scadenza prevista, né possiamo preventivare nulla circa la nostra esistenza terrena, nemmeno quanto tempo vivremo quaggiù.

Non possiamo decidere quando sarà realmente la fine, questo non ci compete. Non ci riguarda, però possiamo attendere. Questo possiamo farlo davvero, anche se oggi viviamo in un tempo in cui l’attesa e la vigilanza, sembrano argomenti obsoleti perché, come già affermava Don Tonino Bello, non si vuole attendere più, “perché siamo a corto di speranza”. Forse è così, ed è vero soprattutto in questo nostro tempo, ci sono molti “di-sperati” cioè senza speranza o molti che preferiscono - più che sperare - “prendere” quello che c’è, e prenderlo subito, senza attendere e sperare in qualche cosa che poi inneschi un processo di cambiamento nella propria vita. Ma questa non è vita nella luce e il rischio di rimanere nelle tenebre di una vita senza senso e senza un epilogo luminoso e felice per sempre, è molto forte.

E allora è a Maria che dovremmo rivolgerci – soprattutto alla  fine di un anno liturgico - con le parole di Don Tonino, possiamo rivolgerci a Lei chiamandola “Maria Vergine dell’attesa”. E’ a Lei che dobbiamo porre tutte le nostre speranze, riporre tutto nelle Sue mani:

“Santa Maria, vergine dell'attesa,

donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate.

Non ci mandare ad altri venditori.

Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro,

quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l'arrivo di un amico lontano,

il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d'inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa,

il sopraggiungere delle rondini in primavera,

l'acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi,

le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti,

l'incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla.

Se oggi non sappiamo attendere più è perché siamo a corto di speranza.

Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio.

E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell'alleanza.

Santa Maria, donna dell'attesa,

conforta il dolore delle madri per i loro figli che, usciti un giorno di casa,

non ci son tornati mai più,

perché uccisi da un incidente stradale o perché sedotti dai richiami della giungla.

Perché dispersi dalla furia della guerra o perché risucchiati dal turbine delle passioni.

Perché travolti dalla tempesta del mare o perché travolti dalle tempeste della vita”.

Se oggi non sappiamo attendere, è anche perché e ci manca quel fuoco, quel fuoco vivo che viene dal Vangelo e dall'incontro vero con Cristo Gesù. L’auspicio più bello è che il Signore ci faccia attendere, ci faccia vivere la fede in maniera coerente, pronti ad incontrarLo per l’eternità. 

don Alfonso GIORGIO



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