Credere significa accendere il fuoco della festa

Pubblicato: 13/08/2022

Lc.12, 49-53 

Credere significa accendere il fuoco della festa

Son venuto a gettare fuoco sulla terra.

Queste sono le parole di Gesù in questa domenica: sono venuto ad accendere un fuoco, a dividere. Ci fa impressione questo modo di parlare. 

Se dovessimo fare riferimento un po’ a quelli che sono i dinamismi della comunicazione attraverso i social un’espressione del genere, sicuramente, non attirerebbe affatto tanti likes, perché, in effetti, uno che ti dice che è venuto ad accendere un fuoco per bruciare e per dividere…, insomma può fare impressione! Ma le parole di Gesù vanno comprese per quello che il vero senso di fondo. 

Il fuoco che Lui vuole accendere, innanzitutto è un fuoco vivo, un fuoco pieno di amore, pieno di Dio e le divisioni che inevitabilmente si potranno creare, che Gesù vuole creare fanno riferimento, invece, ad un altro discorso, cioè al fatto che in quanto cristiano, seguace di Gesù non posso rimanere lo stesso di prima: o mi strutturo come persona credente, che coerentemente con il credo professato, fa delle scelte profondamente evangeliche o non mi resta che allinearmi a tutti gli altri “tiepidi” e scostanti che, pur ritenendosi credenti, di fatto, non rendono tangibile il loro grado di conversione e adesione al Vangelo di Cristo. 

Strutturarsi come persona credente significa uscire allo scoperto, non uniformarsi alla massa. Tutto ciò divide gli uni dagli altri: credenti e non credenti; credenti radicali e credenti secondo un cosiddetto “cattolicesimo convenzionale”, ecc.  

Questo fuoco vivo che Gesù vuole accendere, attraverso noi, nel mondo è foriero di germi di pace ma la pace - testimoniata da Gesù stesso - non è neutralità, mediocrità, equilibrio, compromesso tra bene e male. David Maria Turoldo affermava: “credere è entrare in conflitto”. Forse il punto più difficile e profondo della promessa di pace del Messia è che essa non verrà come pienezza improvvisa, ma sempre come lotta e conquista, terreno di conflitto, sarà scritta infatti con il sangue dei martiri e le ferite di coloro che non avranno esitato mai a donarsi agli altri come ha fatto Lui Agnello Crocifisso.

Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione: “per la caduta e la risurrezione di molti” (Luca 2,34). Sapeva di dover andare incontro alle persecuzioni, conosceva, come gli antichi  profeti, la misteriosa beatitudine che rinviene, paradossalmente,  proprio da coloro che ti si oppongono, quella “perfetta letizia” di cui, in seguito, ha parlato il grande San Francesco di Assisi.

La sua predicazione non metteva in pace - san Pio da Pietralcina diceva, nonostante il suo incessante impegno evangelico: “Io non ho mai pace”, -  anzi poneva nei cuori una grande inquietudine per cui o sceglievi di seguirlo o dovevi prenderne le distanze se non diventarne nemico. Gesù scuoteva la coscienza di tutti, la scuoteva, da quella religiosità formale tanto diffusa ancora oggi, dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita.

Si tratta di una “divisione” portata di proposito che non risparmia nessun contesto: può essere, ad esempio, che in un contesto familiare, in una comunità, alcuni seguano il Vangelo davvero con convinzione e ne traggano spunti reali per la vita distinguendosi dagli altri nella fede, mentre altri invece lo ignorino. 

E’ questa divisione che fa la differenza! In un certo senso io credo che Gesù voglia anche dirci questo: “non rinunciare ai tuoi sogni! Tu, osa, cambia le cose attorno a te! Esci dal tuo villaggio.  

E’ fondamentale uscire dal proprio “villaggio”, uscire dalle comodità, uscire dall’uniformità, dalla tristezza di chi si sente solo e abbandonato per essere se stessi e per apportare la propria convinta, “firma” nel mondo! Sì, mettere una propria firma sulla vita, sulla società in cui viviamo, su quello che si fa, sulle scelte che si compiono. offrendo un nostro apparto anche se incompreso e/o se anticonformista.  Don Tonino Bello, a questo riguardo, diceva rivolgendosi al Signore in preghiera: “Signore Gesù accendi nel nostro cuore “il fuoco della festa”. E’ proprio vero non si tratta di un fuoco di morte, non è un fuoco di divisione, ma un fuoco di festa, perché se l’accogliamo ci mette dentro questa circolarità dell’amore di Dio. 

La scelta di chi perdona, - ad esempio - di chi non si attacca ai soldi, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole assolutamente vendicarsi, di chi apre le braccia e la porta della propria casa, diventa inevitabilmente, punto di divisione, guerra, urto con chi, invece, pensa a vendicarsi, a fare carriera sottomettendo gli altri, a  dominare; con chi pensa che la vita vera sia solo quella di colui che vince schiacciando i più deboli.

Come Gesù anche noi siamo chiamati ad uscire allo scoperto e ad usare le nostre forze e la nostra intelligenza, non per custodire “il si è sempre fatto così”, cioè quella cenere che sta spegnendo il fuoco del Vangelo e preservando solo una struttura superficiale, senza forza e senza fiamma, ma per essere almeno una fiammella ce illumina e riscalda i cuori di quella parte di mondo che inevitabilmente viene affidata alle nostre cure.

don Alfonso GIORGIO



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