Dare un'anima alla carità

Pubblicato: 06/11/2021

(Mc 12 38-44)

Dare un'anima alla carità

Amare non è liberarsi di cose che ormai non servono più! Prendo lo spunto da quelle che sono un po'  le situazioni ordinarie di vita parrocchiale. 

Molto spesso si assiste a questo scarico di materiale sono persone che compiono riti ben precisi: arrivano a destinazione, aprano il baule della propria auto e scaricano tanta di quella roba, vestiti logori, scarpe vecchie, giocattoli spaccati e, con tanta gioia, dicono di "fare la carità", - stanno facendo la carità? "Non si stupisca è perché vogliamo donare vogliamo fare una donazione".

In realtà spesso questa donazione nasconde piuttosto la volontà di liberarsi di qualcosa che non serve più e che molto probabilmente non potrebbe servire nemmeno ai poveri. Si tratta di  rifiuti,  la "monnezza", come dicono a Napoli,  la spazzatura. Purtroppo a noi sacerdoti capita spesso di trovare questa "monnezza" scaricata davanti ai cancelli e dinanzi alle porte delle canoniche, dentro le chiese. In alcuni casi c'è da dire che  ci sono persone così legate alle proprie cose che non darebbero nemmeno il superfluo, nemmeno "a monnezza". Insomma la carità non è questo! 

La carità è ben altra cosa. L'etimo della stessa parola "carità" ci rimanda  a "carus", deriverebbe quindi da "caro", qualcosa di caro, che mi appartiene, qualcosa a cui io tengo veramente. Ecco perché Gesù in questa domenica loda il gesto della vedova,  il suo obolo infatti costituiva tutta la sua ricchezza, era tutto ciò che aveva, non il superfluo, come invece avevano dato gli scribi e i farisei. La vedova non aveva dato molto rispetto agli altri, in  discussione  quindi non è la quantità ma la qualità del dono.

Si tratta di uno stile di vita per cui una persona credente  non può limitarsi  a dare in dono i rifiuti ma dovrebbe  impegnarsi a dare, ad esempio  "un pane",  perché e' l'unico pane, a dare un piatto con la consapevolezza che non potrebbe averne un altro. Il cristiano vero discepolo di Gesù da un piatto, un pane anche se magari non sarà  in grado di prenderne altri.

A riguardo ricordo la cugina di don Tonino Bello che in un incontro-testimonianza aveva detto che  il suo cugino santo quando riceveva in dono qualcosa, ad edempio un nuovo paio di scarpe,  se ne liberava subito, perché aveva le sue e non aveva bisogno di altre, le donava subito ai poveri. Don Tonino diceva spesso che bisogna "dare un'anima alla carità" e che se manca l'amore da cui partono le opere  se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l'Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una "girandola di cose".

Il mio modesto consiglio  è  che non entriamo mai in questa girandola ma piuttosto ci impegniamo a dare un'anima,  a dare un senso al nostro agire da cristiani, che sia sempre solidale e attento soprattutto ai più poveri tra noi con un invito a leggere la prima lettera ai Corinzi al capitolo tredicesimo, il cosiddetto  “inno dell’amore”, e il capitolo 25 di Matteo sul giudizio finale.

San Giovanni della Croce, a riguardo, dice che “al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore”, ma c’è un’altra cosa molto più interessante che non va sottovalutata: in quel giorno ci saranno alcuni che avranno fatto gesti d’amore senza pensare minimamente a Cristo, eppure l’atto di amore diventa per loro una sorta di battesimo cioè i cosiddetti credenti anonimi, quei credenti che sono tali senza saperlo, per cui esiste anche un amore anonimo; e altri invece, che pur avendo compiuto elemosine, magari con disprezzo verso il prossimo e pur essendo credenti, molto probabilmente si ritroveranno lontani dall’amore di Dio. L’ultima considerazione che si può fare in riferimento alla generosità verso il Signore e verso il prossimo è un augurio che esprimo citando il libro del Siracide: «Beati coloro che ti videro e che si sono addormentati nell’amore» (Sir 48,11). E’ una beatitudine e un augurio per tutti.

don Alfonso GIORGIO

 


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