Dio è il “tutto” che si fa niente per noi

Pubblicato: 15/09/2024
Dio è il “tutto” che si fa niente per noi

In questa domenica il Vangelo ci rimanda a quegli interrogativi di carattere teologico che oltre a coinvolgere gli “addetti ai lavori”, in qualche modo interessano anche molti di noi, nei nostri percorsi di fede, quando siamo di fronte all’Altissima figura di Gesù. Sicuramente almeno una volta ci sarà capitato di chiederci se davvero  Gesù è il Figlio di Dio, se davvero  ha questa doppia natura umana e divina. Ci siamo chiesti o ce lo chiediamo ancora: “chi è?”

Ogni volta, che consideriamo la figura di Gesù così come affermava Dietrich Bonoheffer, dobbiamo essere consapevoli che “Gesù non è Cristo per sé”, cioè non è Cristo in quanto tale, ma in quanto è il Cristo, cioè l’unto di Dio per ciascuno di noi e a ciascuno parla in un dato modo, perché ognuno si rapporta a Lui in modo individuale, personale. Ecco perché Gesù, umilmente, si mette, potremmo dire, in discussione, quando chiede addirittura alla gente, ai discepoli, di sapere che cosa la gente pensi di lui.

La domanda è rivolta in modo inequivocabile: “che dice la gente che io sia?” Ci sono risposte, le più diverse, forse anche un pò di confusione: alcuni dicono che è “uno dei profeti”, altri “Giovanni Battista”, altri “Elia”, quindi per alcuni è quell’impetuoso profeta che distrugge tutto, che infuoca di passione il mondo, per altri è il Battista, veemente nella parola, ma pronto ad indicare l’Agnello di Dio  annunciandone la Sua venuta, per altri è semplicemente un profeta.

Quello che si può cogliere dalle risposte-sondaggio è che nessuno dice male di Lui, poiché comunque si tratta di risposte che rimandano a realtà umane buone, però nessuno dice quello che realmente è, eccetto Pietro.

Ancora una volta è Pietro ad esprimere la sua fede: “Tu sei il Cristo”, tu sei il figlio del Dio vivente. Alla risposta di Pietrom Gesù avrebbe potuto enfatizzare e crogiolarsi, come fanno spesso coloro che si credono importanti e unici, invece senza mezze misure, li mette in guardia circa la Sua missione ed annuncia subito la sua Passione morte. Cioè subito parla loro e quindi a ciascuno di noi, di croce, di sofferenza, questo perché vuole farci capire.

E’ necessario “sapere la croce”, perché per essere suoi seguaci bisogna essere pronti ad attraversare il dolore, a passare attraverso il dolore. La croce non è fine a se stessa ma ci è necessaria, solo attraverso la croce possiamo poi, vivere appieno la luce della risurrezione. È un passaggio che ci tocca.

È troppo comodo occupare posti sereni dove non trovi alcun problema, situazioni soft in uan fede da “tazza da Tè“ ma quella non è la soluzione alla nostra vita di fede, non è il modo giusto per affrontare la vita, bisogna andare oltre, essere capaci cioè di attraversare le sofferenze, perché attraverso le ferite, come affermava  don Tonino Bello, da considerare  poi, come feritoie, -  ferite che diventano feritoie - , noi  possiamo vedere oltre, oltre la luce che ci viene incontro. 

Alla fine  possiamo dire che, certamente il Signore, la domanda la rivolge a ciascuno di noi: “chi sono io per te?” E’ come se il cerchio si stringesse anche per noi, come per i dodici, dalla “gente” al “voi”, ora si stringe anche per noi: “chi sono io per te?” Cosa rappresento? Cosa significo io per te? Nella tua vita Io ci sono?

Molto spesso il Signore è fuori o “a latere”, cioè incide poco nella vita del mondo di oggi. Questa pericope evangelica, forse ci  invita a cambiare o quantomeno a dare a giusta valutazione e  dimenticarci  di Lui, perché  in un’ottica di Fede, anche se Dio che è il “tutto” si è fatto “niente” per noi, dobbiamo ammettere che senza di Lui noi non possiamo nulla.

don Alfonso GIORGIO



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