Diversità come ricchezza

Pubblicato: 23/12/2023

Lc 1,26-38  

Diversità come ricchezza

Siamo giunti alla quarta domenica di avvento, il Natale è alle porte e poi quest’anno, in modo particolare, già da stasera celebreremo la messa vigilare di Natale. La liturgia ci pone ancora una volta di fronte a quel “colosso” della fede, che poi si rivela essere tanto umile e piccola: la ragazza di Nazareth, Maria. È lei - come speso affermiamo - che apre l’Avvento e in un certo senso è pure lei che lo chiude, proprio con questa ultima domenica.  

Maria risplende per quello che è accaduto in lei, per l’esperienza dell’Altissimo vissuta in prima persona e perché il Signore ha trovato in lei un cuore docile e accogliente. Il Vangelo di oggi ci ricorda l’annuncio dell’angelo a Maria, e ci rimanda pure all’altro annuncio fatto a Zaccaria. Mentre per Zaccaria l’arcangelo Gabriele ha parlato a lui nel tempio, in quello che è il centro della cultura della fede ebraica, il vertice della fede; per Maria l’annuncio avviene, invece, in un villaggio sperduto della Palestina, un villaggio remoto, periferico. E’ sempre così! Nella logica di Dio, sono gli ultimi ad essere riconosciuti, accolti, chiamati e per di più, circa Nazareth, villaggio così apparentemente insignificante, l’unica notizia che abbiamo è un disprezzo biblico: “cosa potrà mai venire di buono da Nazareth?” (Gv. 1,46).

Cosa potrà avvenire da Nazareth? La citazione biblica è di carattere negativo, ma quello che accade smentisce tutto perché è proprio da quel villaggio “insignificante” cha avviene il meglio, non il “niente”, ma il meglio, "il tutto” che è Dio stesso che si fa carne attraverso l’ “eccomi” di Maria.

Noi guardiamo particolarmente alla fanciulla di Nazareth, a lei, come ad una donna amata dal Signore che riesce a riconoscere l’impossibile di Dio nella propria persona. È chiamata infatti la “kecharitoméne”, le  viene offerto il saluto della gioia, “Chaîre”, rallegrati, ed è per questo che viviamo quest’ultima domenica di Avvento con un profondo senso di gioia per il Natale ormai prossimo. Perché quello che era stato promesso sta avvenendo, si sta rivelando il lei attraverso di lei. E poi la stessa Maria che, per prima, vive lo stupore per quello che sta accadendo in lei proprio perché non si aspettava di essere stata chiamata a questo altissimo compito. Tutto ciò vien evidenziato dalla scelta dei termini usato dall’autore sacro nel testo: una parola greca diatarasso, che significa appunto turbamento; un turbamento molto forte che però troviamo solo nel testo di Luca, che peraltro ci vuole indicare effettivamente come sia un vero turbamento, una forte e preponderante meraviglia pervade il suo animo, un forte stupore nel cuore di Maria che si trasforma poi in desiderio, il desiderio di partecipare con tutta se stessa e non permettere che il progetto di Dio falisca.

Quando alla giovane Maria le viene chiesto un riscontro, l’angelo si aspetta una reazione, magari un sì o un no e l’autore sacro per evidenziare efficacemente la sua volontà riporta un termine che traduce l’ottativo greco γένοιτό, ghénoitó, che implica una sfumatura di disponibilità umile e pronta, che non si può rendere in italiano, ci vuole proprio dire: “desiderio vivo” il desiderio di partecipare assolutamente, voler partecipare al disegno dell’Altissimo.

Maria, poi porta questo nome perché è così che è stata chiamata dalla famiglia, ma è anche colei che dà Dio, è stata chiamata la kecharitoméne, cioè la “ricolma della grazia di Dio”, anche se è soprattutto colei che si autodefinisce la “serva del Signore”. Allora, come afferma Don Tonino Bello, Maria ci viene presentata come una donna che attende una donna che si pone al servizio di Dio, che si mette alla sequela di Dio. Diventa poi, come sappiamo, alla prima discepola del Signore e come donna che attende, ci fa capire quanto sia importante attendere.

L’attesa caratterizza la vita del credente perché è attendendo il Signore che viene che diamo senso alla nostra vita. Attendere senza temere perché il Signore è con noi sempre. «Non temere», dice l’arcangelo a Maria. E’ come se dicesse: “Non temere Maria se io che sono il Tuo Dio non prendo la facile strada, del lusso dei palazzi,  della grandezza e della potenza dei mezzi, non temere se io, l’Infinito, desidero nascondermi in un embrione. Non temere Maria se Io, l’eterno voglio muovermi lontano dagli incensi del tempio e dalle luci della città”.

Attraverso Maria comprendiamo che «Non temere», l’angelo lo dice a ognuno di noi. Per trecentosessantacinque volte nella Bibbia ritorna questa espressione, quasi un invito, per ogni giorno dell’anno a riconoscere l’azione di  Dio nella nostra vita. Il mattino, appena alzati, prima di ogni cosa dovremmo sentire nel cuore l’eco di queste parole incoraggianti sulle labbra di Dio: “Non temere. Qualsiasi cosa oggi accada, non temo.. Non temo di perdonare anche se questo perdono forse potrebbe non essere accettato. Non temo di seminare amore sempre e comunque, nonostante le inimicizie. Non temere di ricominciare perché  tu non sei i tuoi peccati. Non temere di dire quel “eccomi”. Non temere, perché io sono con te per sempre.

don Alfonso GIORGIO



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