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Il Canto del Cuore
Giorno solenne della Domenica delle Palme
La celebrazione della Domenica delle Palme ci invita a pensare alla scena molto pittoresca dell’entrata messianica di Gesù in Gerusalemme, da cui Egli uscirà portando la croce sulla quale verrà crocifisso.
In quell’occasione Gesù realizzò, certamente, una profezia (Mt 21, 1-12; Zac 9,9) che contiene un simbolismo molto profondo di umanità, di dolcezza pur nella maestà del fatto. In effetti, ogni anno in quel rito vediamo il Signore scortato dalla folla mentre cavalca un asino o un’asina. L’episodio, così singolare, è stato conservato dai Vangeli perché molto espressivo: nella sua semplicità ed umiltà contiene una liturgia di grande spessore evangelico. Del resto Gesù in tutte le sue azioni sulla terra aveva alcune necessità naturali da soddisfare: ad esempio bere nel deserto, dopo che la samaritana avrebbe attinto, con un secchio, al pozzo (cfr. Gv 4,7); dormire; spostarsi dal un luogo ad un altro a cavallo di un asino o dentro un’imbarcazione; accettare l’invito ad un banchetto, ecc. Egli amava servirsi delle umili realtà della nostra terra, della sua terra, per vivere le ritualità del Vangelo, per condurre, come un buon pastore, il suo popolo verso i pascoli fertili della vita eterna.
Questa speciale domenica segna l’inizio della Settimana Santa ma è chiamata ufficialmente: “Domenica delle Palme e della Passione del Signore”, perché mentre viene ricordato il momento solenne e gioioso in cui il popolo lo acclama Figlio di Davide cantando: “Osanna al Figlio David, osanna al Redentore” si fa anche memoria della Sua passione: l’arresto, la crocifissione e la morte in croce.
Nella maggior parte delle chiese, vengono benedetti rami di ulivo e palme che vengono anche usati per la processione di ingresso, che dà inizio alla Celebrazione eucaristica, ma il cuore della liturgia è la lunga lettura del cosiddetto “Passio” interpretato dal sacerdote celebrante che dà voce a Cristo e dagli altri ministri e fedeli laici che danno voce alla folla ed ai vari personaggi del racconto biblico.
Quello che ci sorprende è che questa impostazione del Rito risale ai primi anni di vita della Chiesa. Infatti a Gerusalemme i primi cristiani usavano ripercorrere insieme al vescovo le tappe della passione di Gesù e lo facevano “in itinere”, proprio muovendosi da un luogo all’altro e recando le palme in mano come al tempo di Gesù. E’ dall’Oriente quindi che venne attinta la tradizione della benedizione delle Palme, mentre in Ooccidente e particolarmente a Roma si era affermata l’usanza di proclamare i vangeli della passione nella forma che usiamo ancora oggi.
Possiamo affermare che, nel tempo, la Chiesa pensò bene di unificare, il Rito delle palme accogliendo favorevolmente dalla tradizione orientale il ricordo evangelico del corteo gioioso - che nei primi secoli era vissuto solo dalla comunità di Gerusalemme - per estenderlo ad ogni Chiesa locale. L’idea teologica di fondo è che la Chiesa è ovunque e che il Signore si rende presente in ogni luogo, pertanto non è più necessario recarsi sui luoghi della Passione per rivivere e attualizzare, nella Fede, quei momenti sacri. Nella liturgia, ovunque si celebri, si rende sempre presente il Mistero della Passione di Cristo.
Siamo in possesso di molti documenti e testimonianze che attestano l’antichità dei gesti e dei riti della Settimana Santa ma il più antico è il famoso “report” scritto alla fine del IV secolo, dalla pellegrina Egeria: l’Itinerarium Egeriae (Diario di Viaggio di Egeria), noto anche come Pellegrinaggio ai Luoghi Santi, che ci riferisce dettagliatamente come si svolgevano le cose a Gerusalemme. Il documento, è una lunga lettera indirizzata a un circolo di donne. Fu proprio a Gerusalemme che Egeria vide le prime celebrazioni della Domenica delle Palme. Ecco il suo racconto:
«Il giorno dopo, ovvero il Giorno del Signore, che dà inizio alla settimana pasquale che qui chiamano la Grande Settimana, quando tutti i servizi ordinari dal canto del gallo al mattino hanno avuto luogo all’Anastasi e alla Croce, procedono al mattino secondo il costume verso la chiesa maggiore, chiamata martyrium […].Viene chiamata martyrium perché è sul Golgota dietro la Croce, dove il Signore ha sofferto. Quando nella grande chiesa è stato osservato tutto ciò che è consueto, e prima del congedo, l’arcidiacono leva la voce e dice: “Per tutta la settimana, a cominciare da domani, riuniamoci nel martyrium, ovvero nella grande chiesa, all’ora nona”. Poi leva nuovamente la voce dicendo: “Siamo tutti pronti oggi a Eleona alla settima ora”. Quando nella grande chiesa, ovvero il martyrium, è avvenuto il congedo, il vescovo viene scortato con inni all’Anastasi, e dopo che vi sono state fatte tutte le cose consuete del giorno del Signore, dopo il congedo dal martyrium, ciascuno si affretta ad andare a casa a mangiare, di modo che tutti possano essere pronti all’inizio della settima ora nella chiesa di Eleona, sul Monte degli Ulivi […]. E quando si avvicina l’ora nona, si recano cantando inni all’Imbomon, ovvero il luogo da cui il Signore è asceso al cielo, e si siedono lì, perché tutti si devono sempre sedere quando il vescovo è presente; solo i diaconi restano in piedi. Vengono recitati inni e antifone adatti al giorno e al luogo, intervallati da lezioni e preghiere. Quando si avvicina l’undicesima ora viene letto il passo del Vangelo e i bambini, portando rami e palme, vanno incontro al Signore dicendo: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’. Il vescovo si alza immediatamente, e tutta la gente con lui, e si scende a piedi dalla cima del Monte degli Ulivi. Tutti vanno davanti a lui recitando inni e antifone, rispondendo: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’. E tutti i bambini del quartiere, anche quelli troppo piccoli per camminare, vengono portati dai genitori sulle spalle, e tutti tengono in mano dei rami, alcuni di palma e altri di ulivo, e così il vescovo viene scortato allo stesso modo in cui lo è stato il Signore [1].
Queste parole cariche di stupore e di grande fede ci raggiungono da tempi lontani e ci emozionano tanto rendendoci partecipi di una storia di amore che ha avuto inizio proprio lì, a Gerusalemme. Tutto questo ci riempie il cuore di gioia. E’ bello sapere che, nella Fede, mentre noi scuotiamo i rami d’ulivo durante la nostra celebrazione, ovunque siamo, il Signore ci sta raggiungendo e ci viene accanto entrando nuovamente in Gerusalemme, nella nostra umanità, nella nostra vita e nei nostri cuori. A questo livello le palme, ricordate nei vangeli, lungi dall’essere un segno vuoto di significato, nelle nostre mani e nelle nostre case, dopo la Celebrazione vissuta nella comunità, diventano un simbolo di pace e di fede in Gesù Cristo che ci ama fino a morire per noi.
In questo anno tutto particolare, nonostante le limitazioni dettate dalla pandemia ci viene data la possibilità di vivere questo grande mistero anche se non possiamo muoverci da un luogo ad un altro e non possiamo vivere quell’antica processione, forse l’unica processione registrata nei vangeli.
Tutto questo non deve rattristarci o scoraggiarci anzi, in questo modo, venendo meno, forse l’aspetto più esterno della celebrazione, potremo accogliere con il canto del nostro cuore, quel che conta più di tutto: il Figlio di Davide, il Redentore.
Questa è una verità di Fede che non mancherà mai: il Signore cammina sempre con noi anche quando siamo costretti a rimanere fermi e distanziati per il bene di tutti.
don Alfonso GIORGIO
[1] Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, Città nuova, Roma 1985, Diario 47, 1-7.
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