Il mio pianto è nel cavo della mano di Dio

Pubblicato: 28/01/2023
Il mio pianto è nel cavo della mano di Dio

In questa quarta domenica del tempo ordinario ci viene proposta, una pagina stupenda del Vangelo di Matteo: le Beatitudini. Quando si ascolta questo bellissimo testo ci si commuove sempre. Però, al di là della bellezza del testo in sé, noi cogliamo anche la portata rivoluzionaria che queste parole conservano nel momento in cui vengono proclamate, perché diventa per noi un’esortazione a vivere la felicità, a vivere appunto la Beatitudine.

C’è un fatto però che non ci deve sfuggire. La felicità che il Signore ci promette e direi anche quaggiù cioè mentre stiamo vivendo qui, su questa terra, al di là di quella che sarà poi la Beatitudine eterna, è fondata sulle lacrime. Il punto di partenza sono proprio le lacrime: Beati  coloro che sono nel pianto, perché poi gioiranno, perché poi vivranno, non solo di lacrime, ma anche di sorrisi e nelle lacrime saranno comunque Beati.

In questo momento, a pochi giorni dalla celebrazione del giorno della Memoria, penso alle tante lacrime ingiustamente versate da tanti nostri fratelli e sorelle vittime dell’odio razzista. Perché queste lacrime? Erano beati in quel momento?

Le sorelle Bucci con i numeri impressi sulla carne, come bestie, Adria 76483 e Tatiana 76484, deportate ad Auschwitz il 29 marzo 1944, danno questa testimonianza raccapricciante e rispondendo ad un interlocutore che chiede loro: “Vi capitò di vedere vostra mamma? “Si-  dice Tatiana - , “ogni sera, prima di andare a dormire, nostra madre veniva a ricordarci il nostro nome, perché non voleva che diventassimo dei semplici numeri, come auspicavano i tedeschi. Veniva tutte le sere, a suo rischio. Un giorno non la vedemmo più -­ raccontano – E neppure piangemmo. La mamma – pensammo –  è morta, punto e a capo la vita continua”. Un’assenza di lacrime che oggi fa loro ancora male”.  Non c’era più spazio nemmeno per le lacrime, veramente disumano.

La gioia tornerà per Adria e Tatiana solo molto tempo dopo, quando finalmente libere con grande sorpresa incontreranno la propria mamma, ma sarà una gioia sempre radicata in quel pianto silente, in quelle lacrime assenti. Anche nel dolore il Signore ha offerto loro una possibilità:  “L’unica fortuna che abbiamo avuto è stata quella di stare unite. Un legame che ci ha dato la forza per sopravvivere. Essere piccole in quella follia è stato anche un bene, perché le molte cose che sono successe sono state semplicemente rimosse da noi. Anche una volta tornate a casa assieme alla mamma, non abbiamo mai parlato della vita nel campo o di quello che ci è accaduto”.

Non lo so, non lo posso dire se quelle lacrime, “non-lacrime”, in quel caso, costituirono la base su cui fondare la gioia e riempire il cuore di speranza, ma una cosa so, alla luce della Sacra Scrittura tutto è possibile per chi crede: “Cambia ancora, Signore, le nostre sorti come risvegli i torrenti nel deserto: Chi semina nel pianto mieterà nella gioia! (Salmo 126,4-5)

Il punto di partenza è: “le lacrime”! Sono le lacrime ad indurci a vivere il Vangelo, certamente non in maniera triste e sconsolata, ma a vivere evangelicamente anche la sofferenza, a dare cioè un’interpretazione diversa; a vivere la vita in un modo diverso.

Sono quelle lacrime di cui spesso ci parla Papa Francesco, le lacrime necessarie, le lacrime che ci lavano, che purificano, che trasformano, che rigenerano una persona dall’interno. Queste lacrime sono il fondamento, alla base di un percorso di vita secondo il Vangelo. Il che significa che molto spesso la sofferenza non ci viene tolta, che il dolore non viene trasformato in assoluto, ma piuttosto ci viene data la capacità di andare oltre.

Quel dolore, quella sofferenza, quelle lacrime ci danno la possibilità di capire il disegno di Dio su di noi e restare fermi, restare sereni e Beati, appunto, anche in mezzo al buio della vita, in mezzo alle tenebre che la vita ci può riservare. A riguardo penso ai nostri amici non vedenti con cui sono spesso a contatto che mi parlano di  “accettazione”.

Si può vivere la cecità appunto nel dolore, con profondo rispetto. Io ne posso parlare solo in punta di piedi, sicuramente perché è una realtà difficile da accettare, specie se questo accade nel corso della vita, però è proprio un lavoro di accettazione che sicuramente può aiutare. 

Io penso che la Beatitudine sia anche questa, la capacità di accettare la realtà, di accettare la condizione in cui ci troviamo e dare una svolta. Dare uno slancio nuovo, considerare gli aspetti positivi proprio da un punto di vista evangelico. Questa è la Beatitudine, la capacità di restare fermi, di restare uniti al Signore, perché questo conta. Nonostante le contrarietà della vita, nonostante le difficoltà che si possono incontrare io so che le mie lacrime sono “nel cavo della mano di Dio”. - così scriveva Don Tonino Bello - riguardo poi ai miei problemi, il Signore non me li risolve, li devo risolvere io, però mi dà il senso, l’orientamento  e dà senso al mio tormento alle mie lacrime, al mio pianto, ma anche alla mia gioia, al mio amore, al mio dare aiuto dà senso. 

E’ questo senso che il Signore dà alla nostra vita che caratterizza il percorso di fede che possiamo fare alla luce di questa pagina stupenda delle beatitudini.

don Alfonso GIORGIO



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