Il pane segno di comunione e condivisione

Pubblicato: 14/01/2022
Il pane segno di comunione e condivisione

Il mistero eucaristico che viviamo in maniera ininterrotta a partire da quell’ultima Cena in cui il Signore si è donato a noi, quale priorità vuole indicarci? Non lasciamoci abbagliare da tante e varie dottrine eucaristiche, ma piuttosto accogliamo questo dono nella sua assoluta semplicità. Il mistero-sacramento è questo: Cristo si dà a noi e si fa cibo abbondante per tutti; una volta spezzato (e inchiodato sula croce), può essere offerto dalla Chiesa, da noi, a tutti coloro che lo cercano e si sforzano di seguirlo.

Se è vero che in quel pane prezioso, spezzato e condiviso troviamo il pieno adempimento e le radici teologiche di ogni atto di culto è anche vero che la stessa celebrazione diventa paradigma di condivisione del nostro cibo materiale, il pane di ogni giorno. Così concepita l’Eucarestia non è solo il pane del cielo, ma vuole essere esemplare per le nostre tavole famigliari, dove spesso il cibo è abbondante ma non è condiviso con quanto sono affamati e privi del pane quotidiano. Per questo, affinché la Celebrazione dell’Eucarestia sia vissuta nel Suo più alto significato è necessario che vi partecipino anche i poveri.

Se non vi sono i bisognosi e non c’è condivisione del cibo con chi non ne ha, allora anche le nostre celebrazioni sono vuote, perché manca proprio l’essenziale. Come giustamente osservava don Tonino Bello commentando l’episodio della moltiplicazione dei pani: “il pane che produce la terra è sufficiente. E’ l’accampamento, invece, che impedisce la sazietà di tutti e provoca la penuria dei poveri. Se il pane, dalle mani di uno passa nelle mani del’altro, viene diviso, basta per tutti”[1]. Non si può ignorare questa verità intrinseca all’atto liturgico. Se così fosse il rischio è che quella che si celebra non è più la cena del Signore ma una scena rituale che, pur  riempiendo il cuore di tanta devozione, porta in se una grave menomazione del segno voluto da Gesù per la sua Chiesa.

Il pane quindi deve essere condiviso ed è Gesù stesso a ricordarlo quando, dopo aver moltiplicato i pani – alimento base per il sostentamento dell’uomo ma qui, anche simbolo di condivisione e solidarietà – mentre i discepoli avrebbero voluto congedare la folla perché ognuno provvedesse a sfamarsi autonomamente, Gesù esorta proprio loro ad intervenire di persona: “voi stesi darete loro da mangiare” (Matteo 14, 13-21). Il richiamo alla solidarietà alla carità è evidente. Con Gesù si instaura un nuovo Regno, un novo modo di relazionarsi agli altri e a Dio stesso, per cui nessuno può rimanere indifferente dinanzi ai bisogni degli altri. Il pane allora non può essere gettato deve essere accolto e donato in un dinamismo di comunione e condivisione.

La condivisione dei pani e dei pesci preludio del dono eucaristico inaugura un nuovo spazio relazionale tra gli uomini e le donne di ogni tempo: quella della comunione nelle differenze o, l’unità nella diversità, per dirla con Cullman[2]. Per cui le differenze non sono abolite ma accolte come necessarie senza che, d’altra parte ne patisca la relazione che rimane comunque segnata da fraternità, condivisione, solidarietà.

Bisogna onestamente confessarlo: nella Chiesa si è persa questa connessione forte - propria dei primi cristiani che “mettevano in comune ogni cosa” e i Padri della Chiesa  - tra Messa e condivisione del pane. E se nel  mondo e, soprattutto accanto a noi, ci sono ancora i poveri è perché, evidentemente l’Eucarestia che celebriamo per loro non ha conseguenze concrete. Allora la nostra è solo scena religiosa e il nostro non è più un “mangiare la cena del Signore” (1Cor.11,20), ma un semplice rito che non incide nella vita di chi vi partecipa. A riguardo il Concilio ci ricorda che una celebrazione è ben vissuta se ad essa fa da sfondo una fruttuosa ed effettiva partecipazione[3] oltre che un forte legame con l’intera esperienza credente personale ed ecclesiale.

L’efficacia stessa del sacramento celebrato (‘ex opere operato”) si nutre oltre che della preghiera del ministro e dei fedeli che vi partecipano, anche della globalità del vissuto credente dei singoli e della comunità. Più che dalla fissazione di ciò che accade nel momento delle parole di consacrazione del pane e del vino pronunciate dal celebrante, l’efficacia del sacramento per la vita dei presenti, cioè per la dimensione pastorale della vita ecclesiale, dipende soprattutto da coinvolgimento emotivo-personale dei singoli, disposti ad offrirsi a Dio e agli altri per vivere la pienezza della comunione con Cristo. D’altronde la stessa espressione ”Cena del Signore”: “unisce indissolubilmente sacrificio e comunione, perché è una cena sacrificale e al tempo stesso un sacrifico conviviale. Sacrificio dato in comunione: quindi, si partecipa al sacrificio con la comunione”[4].  

L’attenzione prestata dal Concilio Vaticano II all’Eucarestia ha senza dubbio sollecitato una più profonda riflessione sull’attuarsi del mistero della comunione degli uomini con Dio e fra di loro, contribuendo così a superare un’ecclesiologia unilateralmente giuridica, e spianando il cammino ad un’ecclesiologia più attenta alla dimensione sacramentale-eucaristica: un’ecclesiologia di communio. Questa ecclesiologia della communio è diventata il vero e proprio cuore della dottrina sulla Chiesa del Vaticano II: elemento nuovo, e allo stesso tempo del tutto legato alle origini che questo Concilio ha voluto donarci[5].

La comunione tra i credenti in Cristo e la gioia di ritrovarsi per fare quello che il Signore ci ha chiesto: “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19; 1Cor. 11, 24-25) fonda la Chiesa. La Chiesa, dunque, nasce attorno a quella tavola su cui è stato posto da Gesù stesso un semplice pezzo di pane. Un  pane preziosissimo che ci rende tutti “pezzo di pane” gli uni per gli altri. Non a caso, anche nel linguaggio popolare, quando una persona è mite e buona,  si suole dire: “è un pezzo di pane”.

Un gesto semplice quello dello spezzare il pane che rende presente l’Assente nei panni umili di un po’ di pane e un po’ di vino. Ed è attraverso questi segni che viene fatta memoria dell’evento sacrificale della croce nella quale il Signore, eterno amante di ogni creatura, attraverso l‘estremo dono di sé, si consegna in pasto. Dobbiamo fare questo in memoria di Lui per non dimenticare, il come ci ha amati e continua ad amarci, in ogni nostro atto, nel presente, nel passato e nel futuro: ieri, oggi e sempre (…).

E’ necessario per noi spezzare il pane insieme, l’atto celebrativo, accompagnato dalla vita, ci ricorderà che noi diventiamo quello che mangiamo, a immagine e somiglianza di Cristo. E’ senza dubbio un “fate” cui dovrebbe seguire anche un “andate” e condividete questo pane nella solidarietà e nell’amore verso i fratelli e le sorelle che incontrate, nel mondo. E’ il segno eloquente del pane della comunione per farci noi pane per gli altri.    

[1] A. Bello, Occhi nuovi. Le parole  che dicono  il suo sguardo, Ed Insieme, Terlizzi 2018, 189.

[2] Cf. O. Cullmann , L’unità attraverso la diversità, Queriniana, Brescia 1987.

[3] Si tratta dell’ “Actuosa partecipatio”: uno degli obiettivi  più importanti prefissi dal Concilio : cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n.40, in EV 1/68.

[4] A. Giorgio, o.c., 186.

[5]Cf. J. Ratzinger, L’ecclesiologia del Vaticano II, in Id (Ed), Chiesa ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, Edizioni Paoline, Cinisello  Balsamo , 1986, 13.

don Alfonso GIORGIO



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