Il tema della “luce”e la guarigione del cieco nato

Pubblicato: 18/03/2023

Gv. 9,1-41

Il tema della “luce”e la guarigione del cieco nato

Continua il nostro percorso quaresimale che più propriamente potremmo chiamarlo “percorso catecumenale”, proprio a motivo dei temi che vengono proposti in queste ultime tre domeniche di quaresima.

Domenica scorsa campeggiava il tema dell’acqua viva che è Gesù stesso. In questa domenica, invece, ci viene proposto dal vangelo di Giovanni il tema della “luce” che viene colto proprio dal racconto della guarigione del cieco nato. Si tratta di un mendicante, non vedente dalla nascita che chiede aiuto e vien guarito da Gesù. I presenti sono increduli e stupiti per l’accaduto e per questo strattonano ed interrogano quell’uomo. Sono soprattutto i farisei e gli scribi a non credere. Non riescono a capacitarsi e si chiedono come mai un cieco dalla nascita, adesso vede  e come mai tutto questo accade di sabato, giorno dedicato al culto di Dio. 

I farisei non accettano che in giorno di sabato si compiano atti diversi dal culto, sono ottenebrati dal loro legalismo e non riescono a veder la luce della grazia che veine dall’atto di amore di Gesù verso quel povero cieco. Mettono avanti il principio della Legge all’uomo, travisando non “la Legge per l’uomo”-  come dirà Gesù stesso -  ma  “l’uomo per  la Legge”. Questo vorrebbero! E si scandalizzano anche di fronte al mistero della guarigione miracolosa. Come affermava don Primo Mazzolari c’è un’infinita tristezza nella pagina.  I farisei mettono Dio contro l’uomo, ed è il peggior dramma che possa capitare alla nostra fede, a tutte le fedi: mostrano che è possibile essere credenti, senza essere buoni; credenti e duri di cuore. È facile ed è mortale. E invece no, gloria di Dio non è il sabato osservato, ma un mendicante che si alza, che torna a vita piena, “uomo finalmente promosso a uomo.

Il cieco, interrogato su quanto gli è accaduto non sa dire nulla, forse non è ben informato nemmeno sulla persona di Gesù; semplicemente dice: “io non lo so, non lo so di dove viene”. 

Singolare il fatto che  prima parla di Lui come di un uomo,  poi -  come se facesse un cammino di consapevolizzazione graduale – poi come di un profeta e  poi si riferisce a Lui riconoscendolo come il Figlio di Dio, come colui che viene da Dio e si prostra dinanzi a Lui. 

Non lo so, però una cosa so io, prima non ci vedevo, adesso ci vedo”. Il prima, di quel cieco era caratterizzato dalle tenebre era nelle tenebre ma una volta guarito è nella luce. Gesù esordisce con un miracolo, in un contesto religioso-cultutale che accollava la responsabilità dei peccati delle generazioni precedenti ai figli. I presenti sula base di questo substrato culturale  fanno delle congetture circa la cecità di quest'uomo, circa il suo “buio”. Si chiedono: “Chi è la causa del buio? Chi è la causa delle tenebre? 

Nella Bibbia non troveremo mai risposte al perché del male innocente, le cercheremmo invano e neppure Gesù da una spiegazione, però si commuove, libera dal male, si avvicina, tocca, abbraccia, ridona dignità perché il dolore più che spiegato aspetta di essere condiviso. Del resto, bisogna dire che nelle faccende umane vi è sempre una costante: noi vogliamo trovare il colpevole, vogliamo trovare il responsabile. 

Spesso ci si trova in situazioni di buio, di tenebra. Il Signore Gesù che è  la vera luce, Lui la luce che “rischiara le tenebre” ci invita, invece ad abbandonarci a Lui, lasciarci toccare, entrare in intimità con Lui. Ecco allora il gesto rituale del toccare, del prendere la saliva e riporla sugli occhi del cieco. 

Un gesto che sta ad indicare proprio questa volontà dell’Eterno di togliere quell’emarginato dall’isolamento e portarlo alla luce, rigenerandolo affinché - in un certo senso – venga nuovamente alla luce. 

Tutti noi veniamo alla luce, però spesso preferiamo le tenebre o restiamo nelle tenebre. Come affermava don Tonino  Bello:  noi dobbiamo “passare dall’isolamento, alla solitudine”, cioè da quell’isolamento che pone l’ uomo nella condizione di vivere per conto suo, infischiandosene degli altri, alla solitudine che ci rende capaci di pensare, con il forte desiderio di riflettere, di meditare fino a metterci davanti a Dio, nella Sua luce. 

Il cieco ha implorato, ha chiesto di uscire dalla sua emarginazione, dall’isolamento e solo davanti a Gesù si è lasciato rigenerare nella fede, ha capito che solo in Lui poteva trovare la guarigione. Noi non siamo la Luce ma possiamo essere un rifesso della Sua Luce. In qualche modo possiamo essere luce per gli altri, cioè possiamo testimoniare le nostre guarigioni interiori, i nostri passaggi dalle tenebre alla luce, dopo aver incontrato nella nostra vita il Signore. 

Il percorso quaresimale è per noi un  dono grande un’occasione da non sciupare, poiché nella preghiera possiamo realmente ritornare alla Luce, “venire nuovamente alla Luce battesimale”, accogliendo ancora quest’unica grande Luce che dà senso e gioia piena alla nostra vita. 

don Alfonso GIORGIO



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