L'eterna amicizia di Dio in Gesù Cristo, Parola fatta carne

Pubblicato: 06/12/2022
L'eterna amicizia di Dio in Gesù Cristo, Parola fatta carne

Circa il Natale del Signore spesso sentiamo dire: “Aspettiamo la nascita di Gesù Bambino”; “prepariamoci alla venuta di Gesù”; “attendiamo il Natale del Signore che viene”. Sono espressioni molto ricorrenti tra i credenti, nelle comunità, nei gruppi e movimenti ecclesiali. Ma è proprio vero? Dobbiamo attendere questa nascita? Queste espressioni che, ingenuamente e devotamente, vengono pronunciate dai più sensibili, hanno un senso spirituale e teologico? La liturgia ci conferma che del Natale si fa memoria di un evento del passato, già avvenuto “nella pienezza del tempo” (Galati 4,4). Quindi non deve accadere di nuovo. Si tratta di un grande mistero di amore: il Verbo di Dio si fa carne e per questo si è umiliato, perché quella Parola divina e altissima si è fatta carne, è stata, in un certo senso, umanizzata in Gesù. Ci ha dato tutto per salvarci: “Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero” (2 Cor 8,9).

A Natale, allora, ricordiamo questo straordinario evento di amore: Dio è amico dell’uomo e la Sua amicizia è resa palpabile, piena e profonda in quel Bambino di Betlemme, avvolto in fasce all’interno di una grotta. E’ il “mirabile scambio” tra divinità e umanità (cfr Sant'Atanasio di Alessandria). Con l’incarnazione, come scrive il celebre filosofo Kierkegard, le due sfere, prima antitetiche, di Dio e dell’uomo sono entrate in collisione. Non certamente per uno scontro o una esplosione, bensì per un incontro pieno di amore. Sentiamo da allora questa amicizia forte ed inequivocabile: “vi ho chiamato amici” e non più servi. E’ il mistero dell’incarnazione che ci rende capaci di guardare verso l’alto e di fare cose di alto valore umano e spirituale. Possiamo essere amici sinceri gli uni degli altri perché Lui si è fatto nostro amico ed è vicino a noi più di quanto noi stessi possiamo immaginare.

Emily Dickinson, - celebre poetessa statunitense del XIX secolo -  in uno dei suoi versi, affermava che noi conosciamo la nostra altezza fin quando qualcuno non ci chiama ad alzarci in piedi. Ecco, io penso che Gesù si è fatto Bambino, si è abbassato, per chiamarci, uno per uno e alzarci dalla nostra situazione, uno ad uno, senza grandi clamori, nel silenzio e nell’umiltà. Ecco perché ci ha parlato di “lievito” che deve fermentare la massa perché si tratta di processi, lenti, nascosti e quotidiani, per cui non bisogna preoccuparsi se non si è in tanti ad alzarsi e a camminare insieme. A riguardo, il mio direttore spirituale mi esortava sempre ad essere attento alle singole persone, senza guardare ai numeri, e a non soffrire mai per una eventuale esiguità di numero dei partecipanti alle varie attività pastorali: “parla a tutti con coraggio, testimonia il vangelo sempre a chi ti sta di fronte, come se avessi una cattedrale piena, all’inverosimile. Mettici lo stesso impegno, sii amico di tutti e vedrai che i frutti non mancheranno”. Non preoccupiamoci allora di una eventuale esiguità dei partecipanti alla vita associativa. Gesù è venuto in una grotta e non è stato accolto da tutti. Di questa nascita avvenuta al tempo di Cesare Augusto  imperatore e di  Erode re di Galilea, non si accorgono né i potenti, né le autorità religiose: sono pochi pastori, poveri coloro ai quali Dio dà l’annuncio della nascita del Messia, il Salvatore.

Noi, allora, contempliamo questo mistero avvenuto nel tempo, una volta per tutte, nel Primo Natale del Signore, ma attendiamo il Natale ultimo cui fa menzione il Credo, quando “verrà a giudicare i vivi e i morti”. Nel frattempo che facciamo? Aspettiamo il Natale ultimo e ricordiamo il Suo primo Natale nel Tempo e nella storia. Celebriamo con gioia questa amicizia pura e sincera. Sentiamo la Sua vicinanza. Il Suo calore la sua bontà. Comprendiamo che Egli è davvero l’amico sincero che non ti abbandona mai e che ti perdona sempre. E’ vero! Questo lo possiamo contemplare e constatare, ma è sufficiente?

L’amicizia di Dio che sceglie ciò che nel mondo è debole (cf 1 Cor 1,27), accettando di diventare egli stesso "bambino" per amore dell’umanità ci spinge a vivere, in noi stessi, il Santo Natale del Signore, lo stile di Gesù amico dell’uomo e di ogni uomo. Come credenti in Cristo, adesso, sappiamo che Lui ci chiama e ci “alza”, affinché diventiamo dimora di Dio, tempio santo del Signore. Ecco allora il senso del Natale da vivere nell’oggi, nell’attesa dell’ultimo Natale. Ecco l’importanza che il Signore Gesù venga, ancora, nasca in noi, nel nostro cuore, in modo che la Sua vita prenda forma nella nostra vita, fino a poter dire nella fede: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Natale di Betlemme, Natale dentro la nostra vita e Natale definitivo ed eterno, sono il segno tangibile della bontà di Dio e della sua eterna amicizia.

L’amicizia è così importante che Gesù stesso si presenta come amico: «Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Per la grazia che Egli ci dona, siamo elevati in modo tale che siamo veramente suoi amici. Con lo stesso amore che Egli riversa in noi, possiamo amarlo, estendendo il suo amore agli altri, nella speranza che anch’essi troveranno il loro posto nella comunità di amicizia fondata da Gesù Cristo. E sebbene Egli sia già pienamente felice da risorto, è possibile essere generosi con Lui, aiutandolo a costruire il suo Regno in questo mondo, essendo suoi strumenti per portare il suo messaggio, la sua luce e soprattutto il suo amore agli altri (cfr Gv 15,16). I discepoli hanno ascoltato la chiamata di Gesù all’amicizia con Lui. È stato un invito che non li ha costretti, ma si è proposto delicatamente alla loro libertà: «Venite e vedrete», disse loro, ed essi c Dopo quell’incontro, intimo e inaspettato, lasciarono tutto e andarono con Lui.

 don Alfonso GIORGIO



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