La Gioia del Vangelo: atto fraterno, comunitario e missionario

Pubblicato: 12/04/2022
La Gioia del Vangelo: atto fraterno, comunitario e missionario

«Potremmo pensare che diamo gloria a Dio solo con il culto e la preghiera, o unicamente osservando alcune norme etiche», e «dimentichiamo che il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri» (Papa Francesco, Gaudete et exsultate n. 104).

Il Papa ci esorta a non rimanere indifferenti di fronte alle necessità degli altri: “Non è forse vero che noi cristiani restiamo, molte volte, impassibili davanti alle sofferenze e alle necessità dei poveri?” (Cfr. Corpus Domini 2013). Quante volte di fronte alle sofferenze dei fratelli e delle sorelle in difficoltà, bloccate dalla propria disabilità, ci chiediamo: “e adesso? Chi li aiuta? Chi li accompagna”?  Piuttosto che dire, per esempio: “io me ne occuperò. E’ un mio fratello è una mia sorella, non è diverso da me, è parte viva del Corpo di Cristo, anche lui partecipa a pieno titolo, se non con qualche privilegio, della vita del cristiano”.

Sono i più poveri del mondo che hanno bisogno di essere affiancati e sostenuti nel proprio cammino di crescita e sviluppo sociale. A cinquant’anni dalla promulgazione della Populorum Progressio viene spontaneo fare un bilancio sull’impegno della Chiesa e di ogni credente a favore dei popoli della fame. Indubbiamente si è fatto molto e spesso con poche risorse ma sempre, con tanta fiducia nella Divina Provvidenza. I gruppi le associazioni, le diocesi, le parrocchie, hanno accolto con entusiasmo l’invito di Paolo VI ad essere solidali con chi soffre di più nel mondo.  

Sono nate, congregazioni religiose specifiche, alcune associazioni hanno recepito il messaggio pontificio attivandosi, addirittura, inviando intere famiglie a servizio della missione. Molti movimenti e associazioni hanno pensato di inserire nei propri statuti l‘impegno della cooperazione internazionale con i paesi in via di sviluppo ed l'associazione MAC può vantare di essere stata tra le prime realtà a sposare la causa dei poveri del sud del mondo. Infatti, anche noi, compiamo 50 anni di lavoro per la cooperazione internazionale. La nostra adesione è stata immediata ed entusiastica. I ciechi del Sud del mondo non potevano essere dimenticati ed i nostri gruppi, ancora oggi, continuano a lavorare tantissimo per l’inclusione e la prevenzione delle malattie oftalmiche in quelle persone maggiormente esposte.

Siamo ben consapevoli che il nostro lavoro non può risolvere questioni di carattere internazionale, troppo complesse per noi. Nel nostro secolo, i poveri non sono solo degli individui e dei gruppi ma dei paesi interi e dei continenti. La ragione di questa povertà che trascina nella miseria, son delle ingiustizie molto gravi operate nella politica internazionale del commercio. Probabilmente il nostro lavoro non è che una goccia in un oceano, ma noi vogliamo ugualmente contribuire, perché tante gocce, messe insieme, fanno l’oceano. Così affermava la Santa madre Teresa di Calcutta, fortemente convinta della necessità di intervenire sempre.

Siamo piccole gocce di una nuova rugiada che si sta espandendo nel mondo soprattutto grazie all’azione pastorale di papa Francesco che vuole un rinnovamento e una maggiore radicalità evangelica: una “Chiesa in uscita” che prende forma anche attraverso quel sentiero di spiritualità che il Papa stesso sta tracciando attraverso i suoi viaggi in Italia: don Mazzolari e padre Puglisi, don Milani e don Tonino Bello, Don Zeno e Chiara Lubich. Tutti in apparenza accomunati dall’essere definiti ‘preti scomodi’” o persone illuse e perciò scomode, ma la cui caratteristica principale non è tanto la scomodità, bensì lo spirito profetico. Sono persone che hanno promosso stili di vita profondamente evangelica, improntati al dialogo, l’unità, la parresìa e la gioia. Persone toccate dalla Grazia di Dio e mosse dallo Spirito che muove ogni cosa e rinnova i cuori di chi l’annuncia e di chi ne viene coinvolto. E’ un annuncio di Cristo senza compromessi con la mondanità e senza chiusure nelle sicurezze terrene. Si tratta della lungimiranza dei profeti che riescono a vedere oltre l’orizzonte delle aspettative umane.

Questi giganti della Fede ci dicono che il futuro della Chiesa e di tutta l’umanità è nella fraternità. Comunità ecclesiali più fraterne, gruppi associativi più umani e vicini alle esigenze dei più deboli, possono coinvolgere molto di più di una struttura, magari, più articolata e perfetta, ma senza un’anima evangelica e un trasporto affettivo. Ecco perché il Papa insiste sull’urgenza di “scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti… uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene” (EG n. 87). Come conseguenza di ciò, se vogliamo crescere nella vita spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari…Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché “si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35)” (EG 272).

don Alfonso GIORGIO



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