La “tempesta” ci rende consapevoli che senza Dio non possiamo nulla (Mc 4,35-41)

Pubblicato: 17/06/2021
La “tempesta” ci rende consapevoli che senza Dio non possiamo nulla (Mc 4,35-41)

Siamo sul lago di Tiberiade, il cosiddetto “mare di galilea”. E’ chiamato comunemente così nei vangeli ed è  su quel mare che gli apostoli stanno navigando con Gesù a bordo.

Gesù stesso aveva detto loro: “andiamo dall’altra parte”. Aveva appena finito di predicare ed era  stato pressato dalle folle, per questo sentiva la necessità di andare dall’altra parte. 

In questa richiesta di Gesù di andare altrove,  possiamo cogliere  anche un significato  teologico–pastorale. Nel cammino della vita dobbiamo  andare “dall’ altra parte”, cioè dobbiamo andare, navigare, andare oltre, uscire da noi stessi ed essere disposti a cambiare i nostri progetti. Ma il mare è  in tempesta. C’è una situazione difficile da gestire. Gli apostoli sono impauriti. La barca è sballottata dalle onde. Si avverte il  pericolo e la situazione si fa grave, mentre Gesù, stranamente, dorme.  

Papa Francesco citò questo brano del Vangelo in occasione della preghiera mondiale in tempo di pandemia, il 27 marzo del 2020, in piazza S. Pietro e parlando di tempesta disse: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”.

Restano fisse nella mente quelle immagini uniche di un uomo, vestito di bianco, in una piazza deserta; Francesco, da solo, davanti al crocifisso miracoloso parlò di “un mare in tempesta” che ha messo alla luce tante finzioni: Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.

Questo principio però,  potremmo applicarlo anche sulle nostre persone. Del resto, chi di noi, in fondo, non ha vissuto o non vive, in qualche modo, in qualche tempo della propria vita, una qualche tempesta nel cuore, una tempesta dell’anima? Questo Vangelo, ne siamo certi, interpreta un po' la situazione di ciascuno di noi.

E vero. In qualche circostanza particolare, a volte, ci sentiamo sballottati dalle onde, ci sentiamo immessi in questo pericolo ed anche noi, diciamolo pure con sincerità, in quei momenti viviamo la stessa sensazione che avevano gli apostoli: “non ti importa di noi?”.

Gesù sembra dormire. Come mai non interviene? Ci sono situazioni in cui vorremmo che intervenisse immediatamente. Noi presi come siamo da una logica efficientista e dalla pretesa di risposte  immediate alle nostre domande, ai nostri dubbi, gridiamo il nostro dolore come quegli apostoli in barca.

Ma Gesù risponde con grande pacatezza e serenità. Ha colto il grido di aiuto, ha capito lo spessore della preghiera, ne viene coinvolto perché gli apostoli hanno avuto il coraggio di esternare le proprie paure, manifestare il loro stato di precarietà. Mentre quegli uomini hanno avuto questo coraggio, bisogna ammettere che non sempre noi abbiamo la forza d’animo di esternare i nostri limiti, le nostre frustrazioni, il nostro dolore.

Come quegli apostoli, scelti dal Signore, anche noi dovremmo avere l’umiltà di dire ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sulla nostra strada quello che stiamo vivendo mettendoci a nudo e avere il coraggio di testimoniarlo con parresìa. Tutto questo significa essere più umani, essere accolti per quelli che siamo.

Anche se  stiamo vivendo una difficoltà, dovremmo condividerla, dovremmo esternarla. Questo ci farebbe molto bene, perché quando la dichiariamo, quando la viviamo con intensità e riusciamo a dirla al nostro fratello che ci sta accanto, solo  allora ci accorgiamo  che, in quel momento stesso, siamo come liberati, siamo sollevati; perché abbiamo comunicato con umiltà il nostro stato d’animo, il nostro dolore; perché abbiamo condiviso una situazione difficile che ci mette il cuore in tempesta.

Così dobbiamo fare. Soprattutto con il Signore, dobbiamo pregare con sincerità, dobbiamo affidare a Lui la nostra vita, dobbiamo metterci nelle sue mani e lui ci verrà incontro e placherà come ha fatto con  il mare, le nostre tempeste, perché Lui è Dio, è lo stesso Dio dell’Esodo, il Dio dei nostri padri e il Dio di Abramo, di Isacco.

Lui è veramente  Dio e solo Lui può placare le nostre tempeste, può dare una nuova svolta alla nostra vita, anche nel pieno della tormenta. 

don Alfonso GIORGIO



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