NATALE: festa dell'incontro con Dio che si fa povero per noi

Pubblicato: 25/12/2021
NATALE: festa dell'incontro con Dio che si fa povero per noi

Da sempre la festa del Natale ha significato per tutti noi intimità, vicinanza, ritrovo della  famiglia, amicizia, allegria, incontro. Senza dubbio la si può definire proprio “festa dell'incontro”.  A Natale incontriamo gli altri ma soprattutto Dio; anzi è Dio stesso che ci viene incontro perché come ci ricorda l’evangelista Giovanni Egli è il Verbo che si è fatto carne.

È questo il motivo della nostra gioia: il Signore ci vuole incontrare perché ci ama. Siamo stati amati, siamo stati cercati da Lui. E’ bello sapere che il Signore ci cerca per trovarci, per amarci di più. “Questo è il motivo della gioia: sapere che siamo stati amati senza nessun merito, siamo sempre preceduti da Dio nell’amore, un amore così concreto che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, in quel Bambino che vediamo nel presepe. Questo amore ha un nome e un volto: Gesù è il nome e il volto dell’amore che sta a fondamento della nostra gioia” (papa Francesco).

Si tratta di un incontro affascinante: Dio incontra tutta l’umanità e rimane con noi, con una presenza rassicurante e commovente, poiché, alla fine, si tratta di un bambino che nasce, un bambino che viene in mezzo a noi. Non è fuori di luogo affermare quindi che la nascita di questo speciale Bambino, nonostante i tempi difficili che viviamo, ci può dare ancora speranza.

Per alcuni nostri fratelli e sorelle il tempo di Natale può costituire un'ulteriore occasione per rattristarsi: ci sono persone ammalate, magari nostri famigliari ricoverati in ospedale, persone tristi e addolorate, senza cibo, senza casa, senza il necessario per vivere. Come gioire? Non dobbiamo dimenticarci di loro: hanno fame, hanno sete, son poveri e Gesù viene proprio per loro, li cerca, li incontra, li consola con la sua presenza ed il nostro impegno concreto. Non dimentichiamo i nostri fratelli: i cari nostri fratelli e le care nostre sorelle che soffrono i “crampi della fame” sono i  2/3 dell’umanità ed alcuni di loro son vicino a noi. Ci sono tante persone che hanno perso il lavoro a causa della pandemia, incontrano tante difficoltà e delusioni; ci sono  tanti  malcapitati, in mezzo alla strada, abbandonati a se stessi: faranno Natale? Sarà Natale? Faranno  festa?

Mentre  penso a queste cose guardo pure alla mia situazione personale e penso che dovrei anch’io lasciarmi toccare dall’amore di Dio per vivere fino in fondo l’umiltà e l’umiliazione, - così come ha affermato papa Francesco in occasione del discorso rivolto alla Curia vaticana per questo Santo Natale. Tra l’altro quando si è provati personalmente, alla fine, si finisce col capire di più queste situazioni. A riguardo mi vengono in mente le parole di don Tonino Bello che affermava nella sua bellissima lettera di auguri natalizi: “Tanti auguri scomodi” (indirizzata particolarmente ai politici del tempo). Il  disturbo di cui parlava consisteva proprio nell’invito a sentirsi in difetto di fronte a queste realtà prima citate. C’è un passaggio molto forte che esprime benissimo il senso degli auguri del santo vescovo: “Gesù che nasce per amore vi dia la nausea, vi faccia sentire i vermi ogni volta che la vostra carriera diventa l’idolo della vostra vita e la schiena della gente strumento della vostra scalata”.

C’è anche una realtà natalizia che spicca in modo particolare dinanzi ai nostri occhi, si tratta di Giuseppe, il custode del Redentore che a giusta ragione  può essere considerato il simbolo più emblematico di quelle “porte chiuse ai migranti” ed a  tutti coloro che hanno faticato per venire fino a qui, vicino a noi e magari sono fermi nei porti delle nostre città ad aspettare di essere accolti, oppure chiusi in un recinto disumano e non possono entrare, sono picchiati, sono rigettati o rimandati indietro eppure là, tra loro e chi li rifiuta ci sono tanti  cristiani che dovrebbero aprire le porte.

Lo stesso discorso vale anche per Gesù: è un bambino profugo e per questo costretto a nascere altrove, ad andare altrove, fuori della sua terra per vivere la precarietà. Egli stesso, nella sua carne, vive la fragilità e l’umiltà. Tutto questo, mentre ci confonde e ci stupisce, ci dà anche tanta gioia, perché questa fragilità ostentata da Dio in persona è per farci capire che tutti siamo fragili e che dobbiamo essere solidali con l’universo intero e con  gli altri, come noi fragili creature di Dio.

don Alfonso GIORGIO



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