Non bastano le opere di carità se manca la carità delle opere (Gv 6, 41-51)

Pubblicato: 07/08/2021
Non bastano le opere di carità se manca la carità delle opere (Gv 6, 41-51)

Il vangelo di  questa domenica (XIX del Tempo ordinario),  ci porta  a Cafarnao.  

Gesù, preferiva recarsi in quella città che, in quell’epoca, risultava ben strutturata e sviluppata. Ne era una prova il fatto che fosse presente un Centurione romano. Questo significava che l’autorità romana aveva interesse a sovraintendere alla vita della comunità in un modo più accurato e capillare, forse anche per fini  economico – fiscali.

Intanto per Gesù, quel logo era diventato l‘ ”avamposto” da cui predisporre le varie missioni. Lì si ritrovava volentieri con i suoi ed era sempre attorniato da tantissima gente, poiché erano in molti a seguirlo, molti discepoli anche solo curiosi tra cui farisei e scribi. 

Erano tutti affascinati da Lui,  abituati ad ascoltarlo, come se non potessero fare a meno di stargli vicino e partecipare a quei momenti. 

Bisogna dire, però che  l'intento non era sempre quello di ascoltare per formarsi ma,  piuttosto, ascoltare  scrupolosamente al fine di trovare cavilli o coglierlo in fallo nei discorsi per metterlo in difficoltà. 

In effetti l'evangelista Giovanni, in questa pericope  ci riferisce che “mormoravano contro di Lui”. Gesù, ovviamente, si accorge di tutto. 

Il mormorio scaturiva da una incapacità spirituale di fondo: non riuscivano a capire ed accettare che Egli fosse  il “pane disceso dal cielo”. 

Gesù  aveva detto: “io sono”, usando una inequivocabile espressione divina e parlava di cielo perché egli stesso era “cielo sulla terra”, Dio  fattosi carne. Non potevano accettare un Dio così, non se la sentivano di accoglierlo in questa veste: un Dio troppo “a portata di mano” un Dio umile, un Dio che si è fatto carne, appunto e che è venuto in mezzo a noi, che cammina lungo le strade del mondo. Non ce la facevano proprio ad accettare che Lui fosse “pane”  di cui cibarsi, non accettavano questa intimità. 

Lo avrebbero voluto nell' “Iperuranio”, come dicevano i filosofi, in un cielo lontano.  Avrebbero voluto un Dio distante, un Dio in cielo che, appunto, non ti mette in discussione, perché non te lo trovi accanto e lo devi onorare solo  nel culto. Diremmo oggi: “a distanza”, magari anche con qualche “mascherina”. 

Un Dio da  pregare  e basta!  

Invece si ritrovavano un Dio vicino che addirittura si presenta, in Gesù, come pane, come cibo essenziale, fondamentale per la vita dell'uomo;  non un cibo materiale ma un cibo spirituale che ti interpella e ti mette in discussione. L'Eucaristia,  in effetti - come affermava don Tonino Bello  dovrebbe sconvolgere, trasformare la vita delle persone e a riguardo, con una espressione veramente tanto significativa su un piano teologico-pastorale precisava: “fintanto che resta un sacramento incompiuto” cioè   “fintanto che non ci si alzerà da tavola per servire”, la partecipazione alla  liturgia e la stessa manducazione del pane non saranno sufficienti per definire un vero discepolo di Cristo, perché il culto celebrato nella comunità dovrebbe portarti  al servizio. 

Se non  avviene questo “scatto”,  questo desiderio di servire,  e la gioia oltre che la  volontà di andare incontro a chi soffre, con una vera e propria spinta emotivo-spirituale verso il prossimo,  non saremo mai credibili  e la nostra fede, per usare un'espressione del Beato giudice Rosario Livatino risulterebbe troppo debole, magari “credenti”, ma quello che interessa di più è se siamo “credibili”. 

D’altronde se fossimo così tanto attenti da servire, pur avendo grande slancio sociale verso i bisognosi, se non avessimo la carità -  come ci ricorda San Paolo in Corinzi 13 -  saremmo vuoti come bronzi tintinnanti. Ecco perché don Tonino, in questi casi dichiarava senza remore che: “non bastano le opere di carità se manca la carità delle opere”, cioè se manca l'amore su cui fondarle e  da cui partire per compierle. 

Il nostro, quindi è un Dio Amore, un Dio pieno di amore, un Dio che ama, un Dio che si lascia toccare, che si lascia afferrare, si lascia mangiare. 

Un Dio così è difficile da comprendere, ma è il nostro Dio.

don Alfonso GIORGIO



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