Non tanto credenti quanto credibili: strumenti dello Spirito Santo che accoglie

Pubblicato: 18/05/2024

 

 

Non tanto credenti quanto credibili: strumenti dello Spirito Santo che accoglie

È la domenica di Pentecoste: come è noto, questa solennità porta via un po' tutto quello che caratterizza il tempo di Pasqua. Il tempo gioioso della Resurrezione del Signore, infatti, si conclude proprio con la solennità della Pentecoste.

La Pentecoste50 giorni dopo la Pasqua - ricordiamo e celebriamo quello che è stato il più grande dono ricevuto, che, a ben guardare è proprio ciò che motiva tutta la nostra fede, tutto il nostro agire, tutta quella che è la vita pastorale della Chiesa: lo Spirito Santo.

Questo grande dono che si attesta sempre, come “lo sconosciuto”, così come lo definiva Don Tonino Bello in un suo scritto quando parlava dello Spirito Santo e della difficoltà che molti hanno nel capire.  Circa la festa di Pentecoste egli affermava che è difficile comprenderla non tanto perché si tratta di quel “classico sconosciuto” della SS Trinità, sconosciuto ai cresimanti, sconosciuto ai più, anche tra tanti battezzati che non ne comprendono bene il  significato, la Sua azione, ma per il fatto che la festa di Pentecoste, così com’ è accaduto per gli Apostoli, ci sospinge ad uscire da noi stessi, e, un po', a rompere quelli che sono i complessi che occupano il nostro vivere quotidiano.

Ai credenti capita spesso di sentirsi complessati, sfiduciati e in minoranza, come Chiesa e  come credenti; percepire di non incidere più nella società; sentirsi frustrati, ma la realtà è un’altra: forse dovremmo considerare il modo con cui diamo testimonianza, perché è questo che ci chiede proprio lo Spirito. Infatti il primo dono, il primo compito per coloro che hanno ricevuto il dono dello Spirito, quindi per tutti noi credenti, è proprio quello della testimonianza: “Siate testimoni”; che non è la dimostrazione di una fede in cui noi riponiamo tutta la nostra volontà, intelligenza, la nostra fiducia, la nostra vita, ma piuttosto dovrebbe essere “il mostrare”, non il dimostrare.

Con la nostra vita dovremmo “mostrare” agli altri, e quindi indirettamente dimostrare, in maniera naturale, quello che è il nostro credo, che ci attrae. Con la nostra vita, a sua volta, dovremmo attrarre e non per fare proseliti, ma semplicemente per proporre una vita gioiosa nello Spirito. Si è ricevuto questo grande dono e lo si vuole trasmettere, lo si vuole testimoniare, tutto qua!

Quando ricevi un dono bello e grande, non riesci a contenere la gioia ne a trattenerlo per te, lo vuoi a sua volta donare e ne vuoi parlare “assolutamente” agli altri. Questo è il compito principale del cristiano: testimoniare agli altri la propria fede, testimoniare con il cuore, testimoniare con la mente, con la ragione, testimoniare con tutto se stessi.

Certo, sappiamo che oggi questo non è facile, ma quello che il mondo si aspetta da noi innanzitutto è la credibilità. Così come affermava il Beato giudice Rosario Livatino, non dovremmo tanto sforzarci di “essere credenti”, - e questo “status” è  con la preghiera che realmente si sviluppa anche perché si tratta di un processo di assimilazione, di avvicinamento a Dio - ma piuttosto sforzarci di “essere credibili”.

E’ quella credibilità  che il mondo si attende da noi e ancor più - io penso – che il mondo  si attende una Chiesa “degli origini”, una Chiesa degli inizi, una Chiesa credibile, affascinante, una Chiesa che sia effettivamente in qualche modo ammaliante, che coinvolga,  riempia i cuori di coloro che incontra lungo le strade del nostro mondo tanto da sentirsi, di conseguenza,  accolti e amati dalla stessa Chiesa, da tutti coloro che la vivono e la compongono, perché effettivamente tutti i battezzati sono  Chiesa; tutti impegnati ad essere sempre più casa, sempre connessi gli uni agli altri.

Spesso capita di ritrovarsi in discorsi contraddittori da parte proprio dei battezzati che lamentano tante incoerenze e limiti in coloro che vivono la Fede, o almeno ci provano. Ma il criterio giusto è che, piuttosto che giudicare gli altri, mettendoci su un piedistallo come i migliori di tutti o come coloro che possono dare di più, perché hanno “una marcia in più”, in quanto credenti, dovremmo metterci in mezzo agli altri, a disposizione, al servizio, proponendoci proprio di accogliere affinché nessuno si senta escluso e tutti si sentano a casa.

Quando uno si sente a casa, difficilmente se ne va da casa sua. Lo Spirito Santo ci dia questa grande capacità, questi grandi doni di coinvolgimento e testimonianza della nostra fede.

don Alfonso GIORGIO



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