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Quanta strada ha fatto il pane....
Quanta strada ha fatto il pane e quanto valore è stato attribuito ad un po’ di farina ed acqua! Il pane ha assunto un valore così profondo, di condivisione, di carità e solidarietà, di ricompensa, di sostegno materiale e spirituale, ma il significato più nobile e sorprendente rinviene proprio dal sapere dalla bocca stessa di Gesù, (ipsisissima verba Christi[1]) che “prese il pane e pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: prendete e mangiate; questo è il mio Corpo” (Matteo 26, 26). E’ Lui che autodichiarandosi “Pane di vita Eterna” ci invita alla Mensa, ed è sempre Lui ad invitarci a condividere il pane con l’affamato, con il diseredato e con ogni fratello e sorella che incontriamo sul nostro cammino. Come affermava Giovanni Crisostomo non è possibile onorare il Corpo di Cristo vivo nell’Eucarestia se non si onora il corpo di Cristo che sta fuori, nei corpi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle disagiati e bisognosi:
Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene non tollerare che il corpo di Cristo sia nudo. Dopo averlo onorato qui in chiesa, non permettere che poi fuori muoia di freddo perché è nudo. Colui che ha detto questo è il mio corpo confermando con la Parola l’atto che faceva, ha detto anche ‘avevo fame e voi mi avete dato da mangiare’, e ha anche detto ‘ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me’. Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno né di mantelli, né di pizzi, ha bisogno di cuori puri, mentre quello che sta fuori ha bisogno di grande cura. Quale vantaggio può avere Cristo se il suo corpo muore di fame. Comincia a saziare il Cristo che ha fame fuori, e poi, se ti resta ancora del denaro, vai in chiesa e all’altare.(…). Perché i tuoi fratelli poveri sono tempio di Dio assai più prezioso del tempio di pietra[2].
Si tratta di un grande richiamo a vivere l’Eucarestia anche nella dimensione orizzontale e fraterna che è indissolubile da quella tologico-sacramentale.
Nell’Ultima Cena, troviamo la sintesi di tutto ciò che significa quel “semplice pezzo di pane”, perché proprio nell’azione dello spezzare del pane è Gesù a riconoscere il Suo stesso mistero, che è segno efficace di condivisione e di comunione, oltre che di offerta e sacrificio di se stesso per tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi. Conferme in questo senso le abbiamo nel tempo che segue la Resurrezione di Gesù.
Ad Emmaus i due discepoli lo riconobbero proprio nell’atto dello spezzare il pane: “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” e più tardi riferirono pure agli altri discepoli: come l’avevano riconosciuto “nello spezzare il pane”.
Il pane allora va spezzato e i cristiani cominciarono subito a spezzarlo nelle case, una volta alla settimana riunendosi per celebrare la Pasqua ebdomadaria. L’Eucarestia diventa quindi ringraziamento per i beni ricevuti in una dimensione concreta di condivisione e offerta di se stessi a Dio e ai fratelli ma anche momento di verifica della Fede dei credenti. Sin dai primi tempi cominciavano i problemi e San Paolo ce ne lascia una prova quando nei suoi scritti giudica un certo modo incoerente di vivere la sinassi eucaristica: “non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio ma per il peggio innanzitutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, sorgono divisioni tra voi”. E, più avanti, nel testo rivela l’utilità del momento celebrativo ai fini della verifica della Fede degli aderenti: “E’ necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi”
Questa citazione biblica ci fa comprendere quanto importante sia riconoscere Gesù in quel pezzo di pane ma altrettanto determinante incontrarlo anche nel corpo ecclesiale che include tutti: poveri, ricchi, pagani convertiti, ebrei ancora in ricerca, ecc. Non potevano mangiare di quel Corpo in maniera individualistica escludendo qualcuno. Era necessario accogliere tutti e includere tutti perché, celebrata in quel modo la Cena del Signore finiva per diventare occasione per accentuare le differenze tra i vari ceti e manifestazione cosi una preponderante disuguaglianza piuttosto che l’unità richiesta da Gesù.
Al nostro tempo può capitare anche nella religione che noi viviamo, di ricercare solo favori materiali, con la richiesta di essere in salute, nel benessere o attendere qualche colpo di fortuna. E’ un equivoco questo che perdura dai tempi del popolo di Israele nel deserto, quando mormoravano contro Mosè: “fossimo morti per mano del Signore nel pese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame questa moltitudine”.
Può capitare anche che ci si accosti al sacramento dell’Eucarestia e si voglia ricevere questo Pane solo per ottemperare ad una tradizione, ad una sorta di dovere religioso o semplicemente ad una prassi secolare che con il cammino di iniziazione cristiana scandisce la crescita dell’individuo nella società. Tutto questo “può sembrare contradditorio, ma in realtà determinati riti vengono ancora richiesti proprio da chi vive a pieno il processo di secolarizzazione in atto e questo può costituire un presupposto per una nuova inculturazione, dei riti cristiani in Europa”[3] e un’occasione pastorale per una nuova evangelizzazione.
Il tema della comunione nel banchetto eucaristico e della condivisione nello spirito di servizio viene ancor più rimarcato dall’evangelista Giovanni che, al posto di darci una descrizione della ritualità usata da Gesù durante la Cena, preferisce sottolineare la dimensione del servizio nella carità soffermandosi maggiormente sull’iniziativa intrapresa da Gesù di lavare i piedi ai suoi discepoli con la meraviglia di tutti. Il divino “padrone” che si fa servo di tutti. Una logica rovesciata che obbliga ad una riflessione e interpella tutti. Per cui anche noi, oggi, forti dell’esempio di Gesù dovremmo condividere, nell’amore reciproco, quel pezzo di pane e spezzarci per farci noi stessi “pezzo di pane” per gli altri, come Gesù. Soprattutto in questo nostro tempo, nel quale tutto sembra sgretolarsi e perdere consistenza, afferma Papa Francesco: “ci fa ben appellarci alla solidità ch deriva da saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune”[4] in un impegno di solidarietà eucaristica che si esprime concretamente nel servizio agli altri che fondamentalmente ci spinge ad avere uno sguardo particolare verso il volto del fratello la sua “carne”. Un servizio che non è mai ideologico dal momento che non servono idee ma persone[5] concrete e disposte a mettersi in gioco per Dio e per gli altri.
Il pane da tempi immemorabili alimento quotidiano sulla tavola dei popoli, in Cristo si attesta quale sacramento della Sua presenza in mezzo a noi e per essere accolto richiede unità, comunione sincera e servizio generoso ai fratelli. Sono queste le prerogative spirituali fondamentali per potersi cibare di quel “pezzo di pane” spezzato che è il Corpo del Signore. In questo senso il cammino fatto fino ad oggi, grazie al Concilio Vaticano II, conferma questa ritrovata spiritualità e fedeltà alle origini. L’impegno delle comunità ecclesiali, a vario livello, oggi, dovrebbe tener conto di questi sforzi teologici e pastorali compiuti in questi ultimi anni perché purtroppo ancora oggi nonostante tutti gli sforzi come già affermava il compianto vescovo don Tonino Bello: “purtroppo l’opulenza appariscente delle nostre città ci fa scorgere facilmente il Corpo di Cristo nell’Eucarestia dei nostri altari, ma ci impedisce di scorgere il Corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine”[6].
L’Eucarestia è quel pane che ci viene presentato dalle mani del Signore attraverso un rito ecclesiale che in se stesso è ricco di parole e gesti che rievocano ed attuano, nel presente, dinamiche reali di salvezza, ma al tempo stesso non possiamo, alla stregua di uno spettacolo cui assistere in cui è solo il sacerdote ad agire, rimanere freddi e indifferenti. La Cena del Signore è un evento da vivere in pienezza, una relazione da intensificare, con la consapevolezza di avere “di fronte a noi”, “in mezzo a noi” e “in noi”, la presenza viva di un Dio che si è fatto carne, cibo, pane spezzato per noi.
[1] Ipsissima verba Christi, “le stesse parole di Gesù”, è un termine giuridico che indica l’autorità delle parole per il fatto che si riferiscono a Gesù in prima persona, cioè certamente da lui pronunciate.
[2] Giovanni Crisostomo, Commento alla seconda lettera ai Corinti, Omelia 20, 3, PG 61,540.
[3] A. Giorgio, o.c., 234.
[4] Francesco, Fratelli tutti, n.115.
[5] Ib.,
[6] A. Bello, Occhi nuovi.., 204.
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