Se vuoi essere “Qualcuno”, davanti a Dio devi umilmente ritenerti “Nessuno”

Pubblicato: 05/02/2022

Lc 5,1-11

Se vuoi essere “Qualcuno”, davanti a Dio devi umilmente ritenerti “Nessuno”

Siamo giunti alla quinta domenica del tempo ordinario ed è sempre il vangelo di Luca ad accompagnarci in questo cammino “ordinario”, cioè feriale, quotidiano, senza effetti speciali o novità particolari. Del resto deve essere così. La fede va vissuta nel quotidiano e, se siamo davvero credenti in Cristo, diventa parte di noi. 

Il brano del vangelo di questa liturgia ci rimanda alle origini. E’ bello ritornare agli inizi, sicuramente, qui Luca che era così preciso nel fare il resoconto degli avvenimenti accaduti in quanto medico attento e molto rigoroso, attraverso Pietro e gli altri appostoli, ricordava proprio i primi momenti in cui Gesù predicava alle folle e soprattutto quando si interfacciava con Simone e suo fratello.

Il linguaggio è universale e le immagini sono semplicissime. Non ci parla dalla sede del tempio, ma dall’umile “pulpito” di una barca a Cafarnao. Non dalla sinagoga o dal santuario, ma da un angolo umanissimo e laico. E, in più, da un momento di crisi per quei pescatori.

Il Signore ci incontra e ci sceglie mentre stiamo fallendo, ci sceglie ancora, come ha fatto con i primi quattro, forse proprio per quelle nostre fragilità. Chissà perché non guarda ai nostri limiti, non ci vuole “super”. Tra l’atro, bisogna dire che fingere di non avere ferite, o di non avere una storia accidentata, ci renderebbe come attori in una vita da fiction.

Se uno ha vissuto veramente e con intensità, ha delle ferite e lo sa bene. Se uno si presenta al mondo così com’è, è una persona vera, e se è vera ha delle debolezze e delle crisi, non si può eludere ciò che è tipico della nostra natura di creature umane. E lì, proprio nel baratro delle nostre fragilità che ci raggiunge la sua voce: Pietro, rinuncia a valutare le situazioni con i criteri dell’efficienza e dell’esperienza ittica, ma guarda avanti con fiducia fidandosi del sogno, perché viene da Dio, è il sogno di Dio! 

Subito dopo, in risposta, Pietro gli aveva detto: “Allontanati da me, perché sono un peccatore”. Ma Lui, il Re dell’universo, la bontà e la purezza infinita non se n’è andato e sull’acqua di quel mare di Galilea ha una reazione stupefacente. Il Pescatore grande sembra non accogliere le parole di Pietro, non lo giudica, ma neppure lo assolve, lo porta invece su di un altro terreno, anzi su un altro cielo, lontano dal terreno del peccato e dentro il paradigma di un bene futuro: “tu sarai pescatore di uomini”. Non temere il vuoto di oggi e di ieri perché il bene possibile già da domani conta molto di più dell’oggi e del passato.

Gesù rialza dalla polvere, dà sempre fiducia, conforta la vita e poi la indirizza verso un di più: “d’ora in avanti tu sarai.”.. ed è la vita che va avanti e riparte. Quando parla a Pietro, è a noi, è a te che parla. Nessuno può dire con onestà di non valere nulla, di non avere alcun talento, senza nemmeno una barca o una zattera o “in estremis” un guscio di noce. E Gesù ci chiede di salire anche sulla nostra misera barca. Sale sulla barca della mia vita che magari è vuota o che ho tirato in secca e che quando è in alto mare oscilla terribilmente, e nonostante tutto mi prega di ripartire con quello che ho, con quello che so fare, anche poco e mi affida ad  un nuovo mare da navigare.

Nella descrizione dei particolari Luca non trascura quanto accadde dopo la predicazione, durante una giornata di pesca. Quei pescatori esperti avevano faticato tutta la notte senza prendere nulla ed erano piuttosto delusi e scoraggiati. Potremmo dire “fissati”, fermi su quell’insuccesso, bloccati nel loro , nel vuoto della barca, nel vuoto della rete come spesso può capitare a noi quando ci  fissiamo troppo sul vuoto del nostro insuccesso o sul vuoto che ci circonda, che ci avvolge. E’ un’esperienza che ci può capitare di vivere ancor più  in questo periodo segnato dalla pandemia. Se poi diamo uno sguardo veloce alle nostre chiese ci accorgiamo, effettivamente che si stanno svuotando e non sappiamo se questa situazione perdurerà o diventerà una costante. Quello che è certo è che il vuoto creato dalla pandemia ha messo in luce tanti altri vuoti spirituali che altrimenti sarebbero rimasti sopiti. In effetti spesso si registra un grande vuoto che entrato nella nostra vita: è un vuoto nel cuore, uno scoraggiamento profondo che ci frustra e potrebbe farci soccombere. Di fronte a situazioni di questo tipo il Signore ci invita a pescare di più, a tentare ancora invitandoci a fidarci di Lui, delle sue istruzioni.

Dobbiamo abbandonarci a Lui come ha fatto Pietro. “Tirate le reti dall’altra parte”, cioè lasciamoci guidare da Lui, piuttosto che soffermarci troppo sui nostri insuccessi o sulla nostra incapacità di produrre, di portare frutto, di raccogliere, di prendere, entriamo nelle maglie della rete del Signore e cimentiamoci in quello che ci chiede. Fondamentalmente il Signore ci chiede di ottemperare alla Sua volontà, di accoglierLo così come ha fatto con quei pescatori chiedendo loro il favore di prenderLo  nella loro barca: “salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra”.

Il Signore non si impone mai ci prega di accoglierLo e sa bene che noi potremo essere felici solo se staremo con Lui,  se avremo  Lui come punto di riferimento nella nostra vita, se seguiremo e sua indicazioni, il suo incoraggiamento: “non preoccuparti tu continua a gettare le reti”. E’ importante per noi “creature” fidarci del Creatore perché senza di Lui perdiamo valore e identità.

Come direbbe don Tonino Bello se dobbiamo essere “qualcuno” come è giusto, va compiuto un lavoro di riconoscimento del proprio limite, partendo dal principio che “noi non siamo nessuno”. A riguardo don Tonino diceva di se stesso: “io sono un buono a nulla ma capace di tutto”. Sembra un’affermazione contraddittoria ma in realtà voleva dire che si sentiva capace di tutto perché consapevole che quanto più ci si abbandona a Dio, tanto più si riesce a crescere e a rendere migliore la gente che ci sta attorno. E’ nell’abbandono in Dio che noi possiamo tutto! Allora abbandoniamoci al Signore e proviamo ancora a pescare e a pescare, senza mai scoraggiarci.

don Alfonso GIORGIO



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