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10 cose da sapere per mangiare da vero giapponese
Quella giapponese è una cucina sempre più amata. Trainata dal boom del sushi ma anche da nuove passioni come ramen e tempura, saké e gyoza. Una cucina però spesso "maltrattata" da ristoratori improvvisati e varianti occidentalizzate, da una conoscenza superficiale dei piatti e del loro ruolo nel quotidiano nipponico. Ecco 10 cose da sapere per mangiare da vero giapponese, con l'aiuto di uno chef doc, Masamune Tezuka del Wasabi di Torino e di uno dei migliori ricettari sul tema in circolazione, Il Giappone in cucina di Graziana Canova Tura. Idakimasu ("ricevo questo cibo").
Gli ultimi dati (gennaio 2024) arrivano da un ricerca del portale di prenotazioni food The Fork: il 17 per cento dei nuovi ristoranti aperti in Italia nel 2022-2023 sono asiatici. Gli orientali sono ormai la quota principale dei ristoranti stranieri, e in 250 città italiane ce n’è almeno uno.
I piatti asiatici sono i più consumati dopo la pasta dalla GenZ in pausa pranzo (BVA DOxa) e l’all you can eat è finito nel paniere della contingenza.
Tra le cucine orientali, poi svetta a anni sempre più decisamente il Giappone, se è vero che il sushi è stato di gran lunga il piatto a domicilio più ordinato nei giorni di Sanremo 2024. Il sushi percepito, soprattutto dalle nuove generazioni, come leggero, sano, sociale, ma insieme ancora esotico, un modo per “assaggiare” altri mondi e culture. E poi a ruota ecco che questo piatto porta al desiderio di conoscere altri sapori del misterioso e insieme amatissimo Giappone, portandosi dietro altre abitudini, altre tipologie di locali, dal ramen shop al tè matcha ai sakè bar.
Allo stesso modo cresce il desiderio di capire un po’ più nel dettaglio questa cucina tanto amata ma basata su ingredienti e preparazioni, abitudini e cerimoniali assolutamente lontani da noi e spesso incomprensibili. Come andrebbe consumato correttamente il sushi? Ovvero, cosa rappresenta e come lo consuma un giapponese? E come distinguere un prodotto di qualità dalle molte, troppe imitazioni più o meno economiche spuntate un po’ ovunque.
Ecco una guida in 10 domande, realizzata anche con l’aiuto di Masanori Tezuka, chef giapponese che a Torino ha guidato per anni un centro di cultura giapponese, e ha rilevato ora uno degli storici ristoranti giapponesi di Torino, il Wasabi. Un localino stile Izakaya (trattoria da sakè) per proporre vera cucina nipponica con ingredienti scelti e freschi, ricette tradizionali e menù che vanno oltre il solito menù giapponese.
Utile anche Il giappone in cucina (Vallardi, 2023, 18 euro) di Graziana Canova Tura, enciclopedico ricettario con oltre 200 piatti , fedelissimi alla tradizione e alla cultura nipponica ma pensati anche per un italiano che si voglia cimentare a casa nella loro realizzazione.
Le bacchette
Le bacchette? Inutile dire che bisogna provarci, del resto in un vero ristorante giapponese l'alternativa posate non è proprio contemplata.
In legno laccato, metallo e plastica, bambù (riutilizzabili), oppure in legno (riutilizzabili) le bacchette in Asia - le usa un terzo dell'Umanità - hanno nel tempo generato una cucina "da bacchette" tutta incentrata sulla comodità e la degustazione dei cibi senza complicazioni: tutto in piccoli pezzi, già disossato, sbucciato, diliscato eccetera.
Sul corretto uso delle bacchette esistono infiniti tutorial on line. In teoria, ma non ci si aspetta che un occidentale ci arrivi subito, la prima bacchetta dovrebbe stare nell’incavo tra pollice e indice appoggiandosi sull'anulare . La seconda sull’indice tenuta ferma col pollice; è la seconda a muoversi permettendo di afferrare i cibi come con una pinza. La presa dev'essere salda ma senza distruggere i bocconi. L'esercizio è tutto.
Più importante, come spiega Il Giappone in cucina, forse, è l'etichetta che riguarda l'hashi, le bacchette appunto. Ecco qualche regola da considerare.
Meglio le riutilizzabili se si invita qualcuno; il sentimento ecologista in crescita anche in Giappone è contrario all'uso, per una sola volta, del prezioso acero giapponese della tradizione.
Con le bacchette si mangia tutto, anche il riso, compattandolo in piccole porzioni. Anche gli spaghetti in brodo, mentre quest'ultimo si sorbisce direttamente dalla tazza (sono fatte apposta). Per i piatti più difficili da "raccogliere" va benissimo avvicinare il piatto o la tazza alla bocca.
Quando non si usano le bacchette devono stare appoggiate parallele con le punte sull'apposito supporto di ceramica.
Con le bacchette non si infilza, ma si afferra, al limite taglia. Le bacchette non si incrociano, non si puntano verso qualcuno, non si lasciano nel riso (ricorderebbero il modo in cui viene offerto il riso ai defunti).
Nel caso di una portata da condividere non ci si passa il cibo da bacchetta a bacchetta, qualcuno poi usa la parte grossa delle bacchette per prendere un boccone dal piatto comune (per non utilizzare la parte portata alla bocca).
Bacchette e sushi? Due dritte. I pezzi di sushi sono pensati per essere mangiati in un solo boccone, mai tentare di tagliarlo o disassemblarlo, sarebbe quasi un affronto al lavoro dello chef. Il vero esperto tocca appena le bacchette nel wasabi, afferra delicatamente il sushi, lo rovescia con uno scatto e bagna appena nella soia solo la parte con il pesce senza "sporcare" il riso.
Il sushi
Per gli italiani il sushi è il piatto giapponese per eccellenza, ma quale posto rappresenta davvero nelle abitudini dei giapponesi in Giappone? Spiega lo chef Masanori Tezuka che oggi in Giappone sushi e sashimi, e comunque il pesce fresco, sono un piatto delle grandi occasioni, da un importante cena di lavoro a una celebrazione familiare.
Parliamo naturalmente del sushi di alta qualità, non dei kaiten sushi (con i piattini che scorrono su un nastro trasportatore) o del sushi che si trova al supermercato o in alcune catene specializzate come Zanmai (capaci comunque di soddisfare un buongustaio occidentale).
"Quando vuole mangiare vero sushi il giapponese ha di solito un suo locale preferito. Parlo di un piccolo ristorante, costruito intorno al bancone e con massimo una dozzina di sgabelli intorno. Luoghi dove a volte si può ancora vedere e scegliere il pesce freschissimo, si chiede al cuoco specializzato in sushi come prepararlo e lo si guarda cucinare in diretta".
Il pesce veramente fresco di mercato è però molto costoso in Giappone e, specialmente se si vogliono evitare materie prime "occidentali" (come il salmone, assente dalla tradizione giapponese, o, naturalmente, il Philadelphia o la maionese!) si può spendere in questi luoghi per una cena tutto sushi l'equivalente di 150 fino a 250 euro.
Il consiglio allora per chi voglia cercare lo spirito vero di questo piatto è magari quello di investire almeno una volta in un indirizzo sicuro, giapponese.
Serve un cuoco specializzato (la tradizione dice che deve avere un percorso di apprendimento di 7 anni, il primo passato a spazzare il locale) oltre la modalità dell'all you can eat. La differenza si sentirà. Il sushi NON è un piatto casalingo, insomma.
Ma come riconoscere se un sushi è preparato nel modo giusto?
"All'aspetto esteriore - spiega chef Tezuka - il sushi dev'essere concepito per un solo boccone, con dosi armoniche di pesce e riso. Il pesce non dev'essere gommoso, il riso né duro né molle, in teoria andrebbe masticato il meno possibile".
Va detto che in molti locali italiani viene usato normale riso lesso o addirittura precotto.
Per capire se il procedimento è quello giusto può essere utile sapere che il riso del sushi dovrebbe essere stato lavato più volte per sottrarre amido e, con esso, l'elemento colloso che non fa sgranare bene i chicchi. Viene cotto con alga kombu, condito con aceto di riso, sale e zucchero, a volte sakè, raffreddato velocemente, ma non in frigo (secondo la tradizione andrebbe usato un ventaglio) e servito il prima possibile con il pesce. Altrimenti non sarà sushi, ma un altra cosa.
La salsa di soia
Condimento e ingrediente onnipresente, tanto che da sola fa subito cucina orientale, la salsa di soia è sempre presenta a tavola, quale he sia il menù. Si fa facendo fermentare un mix di fagioli di soia al vapore, frumento tostato, spore di fungo koji, acqua e sale.
In Giappone, spiega Il Giappone in cucina, la shoyu è più leggera che in Cina, e più spesso "pura", non aggiunta di ingredienti piccanti o altre spezie. La più usata a tavola è a variante koikuchi, scura e non trasparente fatta con metà sei di soia e metà di frumento.
Viene usata per cucinare o marinare ma soprattutto per accompagnare i piatti più amati dagli italiani. Un vero ristorante di qualità prepara ogni giorno la sua, ma se se si acquista al supermercato la marca consigliata, facilmente reperibile, a è la Kikkoman, fatta in Giappone con una ricetta di sole soia frumento, acqua e sale antica di 300 anni (premiata anche secondo i parametri dei consumatori europei). Variante ancora più raffinata, delicata (e costosa), la Tamari.
Masanori Tezuka serve la sua, letteralmente, con un contagocce, a ricordare che va usata con parsimonia per non stravolgere ogni sapore. Il sushi vi andrebbe secondo lui appena "toccato", dalla parte del pesce.
Mai aggiungerla sopra o nel piatto, mai nel riso. Sui gyoza e tempura se ne usa di più ma diluita con aceto. Riassume il "dio" del sushi Nobu Matsuhisa, 47 ristoranti nel mondo, al Corriere della sera: «Nel caso del sashimi, immergo un pezzo di pesce nella salsa di soia, quindi metto un po' di wasabi nel centro del pesce; col nigiri invece lo capovolgo con le bacchette e immergo solo la parte del pesce nella salsa di soia, non il riso, mentre col sushi roll non si può evitare che la salsa di soia tocchi il riso, basta solo limitare la quantità, così che il pezzo non si spappoli».
Fonte: https://viaggi.corriere.it/news/cards/10-cose-da-sapere-per-mangiare-da-vero-giapponese
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